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Gigi D’Alessio sbotta: “Sempre educato ma adesso non me ne frega un ca**o. Posso parlare di musica anche con Muti”

Gigi D’Alessio sbotta contro una parte di stampa: l’intervista a rollingstone.it

Gigi D’Alessio sbotta: “Sempre educato ma adesso non me ne frega più un ca**o. Posso parlare di musica anche con Muti”. Il cantautore partenopeo contro una parte di stampa che, a suo dire, lo hanno trattato male per anni. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista rilasciata ai microfoni di rollingstone.it.

[…] l’interazione con il mondo urban, rap e trap com’è nata?
“Guè Pequeno mi ha iniziato a questo mondo. Se le cose vanno bene uno tante domande nun se l’ha da chiedere (ride)”.

Nel disco c’è pure tuo figlio LDA.
“A mio figlio Luca ho sempre detto che, se vuole fare questo lavoro, deve avere delusioni. Io ho preso tanti pugni in faccia. Luca l’ho inserito in questo progetto perché era un’operazione giovane. E poi l’ho lasciato solo: me ne sono uscito dalla sala d’incisione per fargli prendere le sue responsabilità”.

E lui?
“Mi chiedeva, in lacrime, se fossi sicuro, ma l’ho fatto solo perché era un lavoro nelle sue corde. Non alzerò mai il telefono per raccomandare mio figlio. Gli vorrei male”.

Gigi D’Alessio sbotta: “Posso parlare di musica anche con Muti”

C’è un parallelismo tra rap e la tua musica degli esordi, che definivamo neomelodica?
“Questi ragazzi sono nati e cresciuti nei rioni popolari. In queste case, già dagli anni ’90, si ascoltavano le mie canzoni. Non solo a Napoli. Ho raccontato la vita di tutti. Molti si ritrovano, pensano che abbia scritto della loro vita. Tutti vogliono dare un’etichetta alla musica, ma la musica non ha etichette. La musica è una, è come la vesti”.

[…] Ma i brani in napoletano li canti ancora in concerto?
“Come medley. Perché è come se fossi un duo, se avessi due carriere: quella di cantante napoletano e quella di cantante italiano. Ecco perché nei concerti ci sono sempre una cinquantina di brani”.

Ma passare dalle canzoni in napoletano a quelle in italiano non ti ha fatto perdere un po’ d’identità? Voglio dire, i brani in napoletano arrivano in maniera molto più diretta.
“Perché quella è la mia lingua madre. Quella straniera è l’italiano. Fino a pochi anni fa se si cantava in napoletano si veniva ghettizzati. Ho dovuto prima acquisire una credibilità, però i numeri li ho fatti con i brani in italiano. Non dirgli mai ha venduto un milione e 800 mila copie. E poi Non mollare mai, Quanti amori, Il cammino delle età, Un nuovo bacio sono successi che conoscono pure quelli a cui sto sul cazzo”.

Gigi D’Alessio sbotta: “Sempre educato ma adesso non me ne frega più un ca**o”

Ma è vero che a Sanremo non volevano cantassi una strofa di Non dirgli mai in napoletano?
“Sì, c’era una frase nel brano e all’epoca fu uno scandalo. I discografici mi dissero che non se ne parlava proprio e così gli autori del festival. Mi dicevano: “Ma con queste due lingue, dove vai?”. Alle prove ho fatto finta di cantarla in italiano e sul palco l’ho fatta in napoletano”.

E non ti hanno eliminato…
“E perché? Mica ho bestemmiato!”.

Beh, non si può cambiare il testo in gara.
“Ma ho detto una sola frase. E comunque il brano era in napoletano. Loro non volevano perché pensavano fosse volgare, neanche avessi detto “L’ho messa a pecora” (ride)”.

Resta che la stampa a Sanremo non ti ha mai amato.
“C’è sempre stato un rapporto di odio-amore. Quando si costringe la stampa a parlare di un prodotto, come è successo con me, gli vai sul cazzo. Se invece è la stampa che tira fuori un prodotto allora sei figo. Nel mio caso non ho mollato perché ho sempre pensato che i giornali non tolgono o aggiungono nulla, il vero giudice è sempre il pubblico. Dopo 30 anni sono ancora qua, i giornalisti si sono arresi. Si sono concentrati su qualcun altro”.

E tu come la vivevi questa cosa di avere la stampa contro?
“Mi sono sempre sudato tutto e ho studiato. Non parlo di musica per sentito dire: mi posso sedere e parlare con Riccardo Muti. Da ragazzo ho diretto l’Orchestra Scarlatti e a 30 anni la London Symphony Orchestra. Che cazzo devo fare di più? Magari si potesse parlare spesso di musica nei dettagli, ma ci sono molti giornalisti che non distinguono il pianoforte da una cucina”.

Ah, proprio così?
“Sai che c’è? Io fino a 50 anni sono stato educato, ora non me ne frega più un cazzo. Che devo fare più? Ho fatto 15 tour mondiali, ho fatto concerti al Radio City Music Hall di New York e all’Olympia di Parigi. Per dimostrare a chi, poi?”.

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