Alda D’Eusanio, il coma e non solo, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’
Alda D’Eusanio: “In coma preferivo morire, sono tornata indietro. Oggi piangerò tutto il giorno”. La conduttrice compie 70 anni e si racconta ripercorrendo il passato in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’ . Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Alda D’Eusanio, 70 anni compiuti oggi e non li dimostra. Come fa?
«Perché il corpo parla e ti dice se sei acida, biliosa o serena… Che vita hai fatto e che persona sei diventata».
E lei com’è diventata?
«Migliore di com’ero. Poi, nel 2012, dopo che essere stata investita, il coma mi ha riportata un po’ indietro: avevo imparato a riflettere prima di parlare e ho disimparato».
[…] Come le sembra oggi la tv del pomeriggio?
«La guardo e mi chiedo perché mi attaccavano così tanto e in modo così brutale. Quando Marco Pannella mi mollò un panetto di hashish in diretta, fui processata dall’Ordine dei giornalisti e dalla giustizia ordinaria. Un putiferio. Ma Pannella mi era stato imposto dalla rete per promuovere un referendum. Me lo trovai in studio all’ultimo e dissi subito: questo è veleno, tienitelo e vai in galera. Fui assolta, ma nessuno si spese in mia difesa».
Perché, che risposta si dà?
«Perché non appartengo a circoli, gruppi, sono sola, nel senso di libera. In Rai, ho fatto 11 anni di precariato. Mio marito mi diceva: chiamati col mio cognome, sarà più semplice. E io niente».
Alda D’Eusanio: “In coma preferivo morire”
Suo marito era il sociologo Gianni Statera, lei chi era e da dove veniva?
«Venivo da Tollo, in Abruzzo, tremila anime, tutti contadini. Eravamo poveri. Papà aveva imparato a leggere e scrivere a vent’anni, mamma tuttora mi dice: io non ti avrei fatta studiare. Invece, andai in collegio, poi mi laureai in Sociologia a Roma, facendo la cameriera per mantenermi. Avevo tutti 30 e 30 lode».
Primo incontro col professor Statera?
«Io ero un sacco rossa, un sacco comunista e sottoproletaria. Lui era socialista e, per me, era un borghese nemico di classe. Era bravissimo, ma non mi affascinava. Aveva solo sette anni più di me, ma era già direttore del dipartimento di Sociologia. Aveva scritto il suo primo libro a 12 anni. Era un genio, ma io pensavo che per uno che aveva mangiato pane e cultura era il minimo».
Quindi?
«Alla presentazione di un libro, iniziò a corteggiarmi, gli permisi il primo bacio dopo sei mesi. Mi conquistò con l’intelligenza, che è quello che succede ancora. Continuo a discutere con lui e a farci pace. Ha una mente forte, siamo due caratteri da scontro totale. Lui era tutto preso dall’università, la mia rivale: studiava e leggeva sempre. Io lo prendevo in giro. Rifletteva sui massimi sistemi e gli dicevo: scusa , tu che sai tutto, che ore sono? A volte, mi svegliavo e lo trovavo che mi guardava e rideva. Ancora lo fa, la mattina. Ancora lo amo tanto».
Ne parla come se fosse vivo, ma è morto nel ‘99.
«Per me è molto vivo.Un amore vero va al di là del corpo, degli oceani, dell’eterno. Soffro la sua morte solo il giorno del mio compleanno perché il suo regalo era passare un giorno intero con me».
Per cui, che farà oggi?
«Piangerò tutto il giorno. Gianni se n’è andato in 15 giorni per un male fulminante. All’inizio, non mangiavo e non bevevo, ero arrivata a 34 chili, volevo solo morire. Poi, in un negozio, ho visto Giorgio, un pappagallo tutto piume e ossa che pativa un lutto e non mangiava più. L’ho portato a casa, a lui piace la pasta e, un rigatone lui e uno io, abbiamo ripreso a mangiare».
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