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Spettacolo

Pierfrancesco Favino si racconta: “Il peggior nemico di me stesso. Da un ruolo ho capito che stavo imparando”

Pierfrancesco Favino si racconta a ‘I Lunatici’ su Rai Radio2

Pierfrancesco Favino si racconta: “Il peggior nemico di me stesso. Da un ruolo ho capito che stavo imparando”. L’attore è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dalla mezzanotte alle sei dal lunedì al venerdì notte.

Si parte fina dall’infanzia. “Io sono stato un bambino capace di rifugiarmi spesso nella fantasia, non ero scalmanato, ero energico ma molto fantasioso, mi inventavo storie, mi rifugiavo spesso nella mia fantasia. Da padre, cerco di dare ai miei figli quello che mi sembra di non aver avuto da piccolo. Io sono stato l’ultimo figlio di genitori piuttosto grandi, per cui forse il lato del gioco, della dimostrazione e della vicinanza fisica, forse un po’ mi è mancato”.

Il rapporto con i genitori e poi con i figli. “I nostri genitori ci accarezzavano mentre dormivamo, sembrava quasi che dare troppa vicinanza fisica o troppe smancerie ai figli potesse creare in loro debolezza. Era quasi una regola non scritta, che però si portava avanti. Non sono geloso, ho molta empatia e ho molto rispetto per lo spazio delle mie figlie. Penso che essere bambini e ragazzi in questo momento storico sia molto difficile”.

Pierfrancesco Favino si racconta: “Al cinema le cose non vanno come speravo”

Sul Cinema post lockdown. “Al cinema le cose non vanno come speravo. Però è vero anche che rispetto a un anno fa tutto il cinema soffre tantissimo, c’è un calo del settanta percento, è una enormità. Va detto che probabilmente nessuno ha spiegato agli spettatori che andare al cinema oggi è una esperienza più sicura di altre. Se vado al cinema con mio padre o mio figlio, sarò seduto accanto a loro, e vicino avrò delle sedie vuote. Se si prende un areo per due ore e mezza, andiamo in un supermercato o in un autobus, capiamo che ci sono tante situazioni in cui condividiamo, forse con meno sicurezza”.

Sulla sicurezza. “Capisco il timore, ma c’è bisogno di qualcuno che dica che oggi andare al cinema è una esperienza sicura. Non si ha prossimità con chi non si conosce, le sale si sono organizzate bene. E penso che abbiamo bisogno di quegli spazi che nutrano qualche altro aspetto della nostra vita che non siano solo il dovere. Giustamente dobbiamo essere responsabili, ma gli spazi in cui noi possiamo nutrire lo spirito, l’anima, lo spazio dello svago, rischiano di essere messi da parte e di essere vissuti sempre e solo esclusivamente in maniera individuale. Io non ho paura degli altri, non voglio avere paura degli altri, voglio condividere le mie esperienze, sempre in sicurezza”.

Pierfrancesco Favino si racconta: “Impossibile uscire migliori da lockdown”

Le persone dopo la quarantena. “Dicevano che ne saremmo usciti migliori? E’ impossibile uscire migliori. Da trent’anni viviamo con la paura. Di un attentato, di chi viene dal mare, di chi ti toglie qualcosa. Poi la paura del covid, che tutto sommato è la paura più democratica che esista. Però sono trent’anni che ci viene inculcata l’idea che il tuo prossimo possa essere il tuo nemico. Se c’è un messaggio del genere, è fatale che poi si arrivi alla violenza, verbale o fisica. Io scelgo di vivere una vita fatta di condivisione e cooperazione, faccio un mestiere che si fa insieme, continuerò a desiderare di fare le cose insieme agli altri, condividendo con gli altri. Sempre responsabilmente, io porto la mascherina sempre, non c’è bisogno che qualcuno mi dica di farlo. Non ci vedo migliorati, basta guardare le notizie sui giornali”.

L’odio sui social network. “L’idea che la felicità di qualcuno possa portarti a commettere un atto folle è una cosa tremenda. L’idea che ci si possa mettere davanti a una tastiera e passare il tempo ad offendere, penso che questa cosa qui nasca dalla rabbia e credo che la rabbia nasca dall’isolamento, dalle difficoltà, dal disagio, che tutti stiamo vivendo. Io sono in una situazione privilegiata, lo so, non mi metto a pontificare, ma non si può non occuparsi ad esempio delle attività giovanili, o chiedersi dove si voglia andare”.

Pierfrancesco Favino si racconta: “Dopo aver letto i giornali certe volte devo respirare”

Favino detta quella che secondo lui potrebbe essere la ricetta: “Viviamo in un Paese che è la culla della bellezza, della cultura, dell’arte, già pensare che possa nascere un’idea di gusto nazionale, potrebbe essere una cosa in grado di sollevare gli animi”.

Sugli episodi di violenza. “Io certe volte dopo aver letto i giornali la mattina ho bisogno di respirare. E’ come se dovessimo essere rinchiusi in questa idea di violenza, di assenza di futuro, in più durante una pandemia che spaventa tutti a un livello molto profondo. Non sappiamo ancora che cosa stia facendo dal punto di vista emotivo e psicologico. Per questo mi permetto di dire, facciamoci una coccola. Occupiamoci della nostra pancia, del nostro respiro. Regaliamoci qualcosa che ci faccia stare meglio. Sempre responsabilmente, lo ripeto”.

Sugli haters: “Io non ho la pretesa di piacere a tutti, ce li ho anche gli haters, ho delle brave persone che si occupano dei social evidentemente. Quando piaci a tutti è molto sinistro, ci sono persone che possono non apprezzarmi, faccio un mestiere che è soggetto al gusto e il gusto non può essere dibattuto. Credo però che le persone riconoscano che quanto faccio non è gratuito, non è arrivato da solo, ho fatto una lunga gavetta.

Pierfrancesco Favino si racconta: “Haters? Non si può piacere a tutti”

Sulle critiche. “Certe volte trovo giuste le critiche, voglio essere onesto fino in fondo, il protagonista del mio ultimo film ‘Padrenostro’, è Mattia Garaci, con Francesco Ghenghi sono più presenti di me io sono stato molto sorpreso del premio ricevuto a Venezia, forse ho fatto altri ruoli, altre volte, che erano più rotondi, diciamo così, e che magari non sono stati premiati”.

Sul suo lavoro: “Non riesco mai a dirmi bravo, sono il peggior nemico di me stesso, non guardo molto le cose che faccio, l’esperienza che fai sul set è diversa rispetto a quello che poi vedi. Il ruolo che mi ha cambiato la vita? Non penso che si diventi di colpo un attore di un altro livello, sempre che io sappia cos’è quest’altro livello, perché poi alla fine non lo sai mai. Mi ero dato un tempo, oltre il quale se avessi capito che non era la mia strada, forse avrei scelto altro. Non avevo un piano b, ma ci sono tanti aspetti di questo mondo che mi attraggono. Se fossi arrivato a una certa età senza poter pagare l’affitto o fare la spesa, avrei capito che dovevo cambiar strada. Il primo ruolo che mi ha fatto capire che potevo continuare a fare questo mestiere è stato il sergente Rizzo di El Alamein. Per la prima volta mi era sembrato di riuscire a dar voce ad alcune cose che avevo imparato”.

Pierfrancesco Favino si racconta: “Padrenostro? Feedback positivi”

Sul film Padrenostro, in cui è tra i protagonisti: “I primi feedback sono buoni, ci sembra di essere riusciti a fare quello che volevamo fare, raccontare una storia che portasse gli spettatori ad essere in contatto con la propria esperienza, sia dei figli che dei genitori. Il rapporto tra padre e figlio è un rapporto molto misterioso, tutte le persone che mi scrivono alla fine parlano di loro, del loro rapporto, quando un film riesce a fare questo è una bella cosa. Il regista del film racconta il ferimento del padre da parte di un gruppo di terroristi. Una cosa che io ho sentito subito vicina. Per chi ha la nostra età, in quegli anni vedeva attorno a se questo mondo muoversi freneticamente, con un senso di paura di cui non riconoscevamo l’origine. E’ una cosa un po’ sottovalutata, come i bambini subiscono ciò che il mondo intorno a loro in quel momento muove. Io non sono figlio di una persona che aveva una carica pubblica, ma mi ricordo perfettamente cosa accadeva nelle strade quando ci fu il rapimento Moro. E mi ricordo quando ritrovarono il suo cadavere. La barba lunga, la mano penzolante, la macchina, mi colpirono delle immagini, questo era più o meno quello che volevamo fare. Siamo partiti da un dato reale, ma poi il film è di fantasia”.

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