Sottrarre il cellulare alla moglie equivale a rapina: la sentenza
Sottrarre il cellulare alla moglie equivale a rapina: la sentenza della Cassazione. Una recente sentenza della Cassazione stabilisce che sottrarre il cellulare alla moglie integra il reato di rapina, non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Non è individuabile alcuna pretesa tutelabile da parte del marito nel commettere tale gesto. Lo evidenzia il sito studiocataldi.it.
Il G.i.p non convalida l’arresto eseguito dalla Polizia Giudiziaria nei confronti di un soggetto indiziato per il reato di rapina di un cellulare sottratto alla moglie, da cui si stava separando, nel corso di un incontro in cui la donna doveva ritirare i suoi effetti personali dalla casa familiare.
Per il G.i.p l’indagato ha sottratto il telefono non per ragioni di profitto, ma per fare in modo che la donna non continuasse a prendere le sue cose. Tale condotta per il G.i.p integra un esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Non vi è quindi motivo di adottare una misura precautelare.
Il Procuratore presso il Tribunale però ricorre in Cassazione, ritenendo la motivazione illogica e contraddittoria in quanto dapprima qualifica la condotta dell’indagato come esercizio arbitrario della proprie ragioni, poi però omette di indicare la pretesa che l’uomo con tale gesto, aveva ritenuto di esercitare, prendendo il cellulare alla moglie con una spinta, mentre la donna recuperava i propri beni, trovati tra l’altro danneggiati.
Cassazione: sottrarre il cellulare alla moglie equivale a rapina
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 26982/2020 accoglie il ricorso del Procuratore perché le ragioni addotte risultano fondate. Gli Ermellini rilevano come in effetti la motivazione del Gip “non individua quale fosse la pretesa tutelabile davanti all’autorità giudiziaria, rispetto alla quale (l’indagato) avrebbe ritenuto di farsi giustizia da sé sottraendo alla moglie il telefono cellulare.
Né può ritenersi che l’esecuzione di riprese con un telefono cellulare, peraltro di oggetti di proprietà della persona che la esegue, possa costituire condotta illecita in grado di procurare danni a terzi soggetti, ipotesi che anche ove ritenuta sussistente dall’indagato in buona fede non avrebbe comunque consentito di conseguire altro rimedio che quello risarcitorio (e non anche la sottrazione della disponibilità del cellulare alla proprietaria del bene).”
La Corte ricorda infatti che per integrare il reato di esercizio delle proprie ragioni è necessario che: l’autore agisca ritenendo legittima la sua pretesa o per tutelare un suo diritto contestabile giudizialmente, anche se questo non esiste; la pretesa corrisponda all’oggetto della tutela che l’ordinamento prevede, visto che ciò che caratterizza tale reato è la sostituzione della tutela pubblica con quella privata.
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