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Pozzecco si racconta: “Ho scartato il Calcio per il Basket. Donne e sbronze? Così mi sono goduto la vita…”

Gianmarco Pozzecco si racconta a ‘Il Corriere della Sera’

Gianmarco Pozzecco si racconta: “Ho scartato il Calcio per il Basket. Donne e sbronze? Così mi sono goduto la vita…”. L’ex cestista, oggi allenatore, parla a tutto tondo della sua carriera, e non solo, in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Pozzecco? È ancora così matto oppure è cambiato? […]
«Ci provo. Tutte e due le cose. Ho fatto un sacco di cose stupide, spesso mi sono fatto male da solo. Un certo tipo di vita non mi appartiene più, ma è un passato che non rinnego. Sono stato un cretino? Io sono anche quel cretino che ero. Non è che sei sempre lo stesso, ognuno di noi contiene cose belle e brutte, errori. E prima di giudicare, forse bisognerebbe sempre conoscere, e sforzarsi di capire gli altri, i loro sbagli, i loro eccessi, la vita che hanno avuto».

Da dove viene questa sua perpetua necessità di dimostrare qualcosa al mondo?
«Mi guardi. Lei è molto più alto di me. Arrivo appena a un metro e ottanta. Sono sempre stato il più piccolo delle scuole che frequentavo con scarso profitto, forse perché ero scemo. Ero un tappo che voleva solo giocare allo sport dei giganti, più scemo di così…».

Era solo una questione di altezza?
«Una sera di tanti anni fa. Casa mia a Trieste. Siamo seduti a tavola in terrazza, per pranzo. Ho 13 anni, e devo scegliere se giocare a pallacanestro in C1 nella squadra allenata dal mio papà, come mio fratello maggiore e più alto, oppure giocare a calcio in terza categoria con il Chiarbola. Io avevo già deciso. Basket, tutta la vita, anzi voglio che il basket diventi la mia vita. C’è solo da aspettare che papà torni a casa, e glielo dirò, facendolo felice. Almeno così immaginavo».

Pozzecco si racconta: “Ho scartato il Calcio per giocare a Calcio”

Non andò così?
«Avevo le farfalle nello stomaco, non vedevo l’ora. Lui si sedette e non disse nulla. Aspettavo il momento in cui mi avrebbe rivolto la parola, lo pregustavo, ma niente, non mi filava. Arrivati al caffè, quasi con nonchalance, si gira verso di me e mi dice: “Allora siamo d’accordo, vai a giocare a calcio, no?”. Fu come ricevere un pugno da Mike Tyson. Ko tecnico. Risposi che obbedivo. Che avrei giocato a calcio. Poi mi alzai da tavola e tornai nella mia stanza, a piangere. E poi feci di testa mia, per la prima di una serie infinite di volte».

[…] Non le dà fastidio che qualcuno ancora la consideri un pirla?
«Essere discriminato, in ogni senso, è stata la costante della mia vita. Lo so, c’è gente convinta che io sia stato semplicemente un donnaiolo discotecaro, arrivato a certi livelli solo grazie a un po’ di talento e tanta fortuna».

Un farfallone, come disse Boscia Tanjevic quando la tagliò dalla Nazionale che nel 1999 poi vinse l’oro agli Europei?
«Ecco, grazie per averlo ricordato… D’accordo, ci sono state tante domeniche che ho fatto l’alba con un drink in mano. Ho preso sbronze omeriche e da ubriaco ero capace di fumare due pacchetti di Marlboro in poche ore. Ma gli altri giorni della settimana? Ero in palestra, a farmi il c… e non c’è nessuno che possa dire che non abbia sempre dato l’anima in campo».

[…] La ferisce essere ricordato da qualcuno più per i flirt con Samantha De Grenet o Maurizia Cacciatori che per le vittorie?
«L’unica cosa che mi fa male è quando sento qualcuno dire che ero un cocainomane. Io non mi sono mai drogato nella mia vita. Mai. Ero pazzo? La gente veniva al palazzetto apposta per vedere me, sapeva che mi sarei inventato qualcosa».

Pozzecco si racconta: “Discoteche e sbronze ma poi in palestra a farmi il c***”

[…] Perché a un certo punto, sul finire dalla carriera da giocatore, lei rinuncia alla televisione, alle serate al Billionaire, alla mondanità?
«Ancora prima di incontrare Tanya, la donna che mi ha cambiato, ho realizzato che non ero felice per via della fama e della celebrità che mi dava il basket. Ero felice perche giocavo a basket. Quando si avvicina la linea d’ombra, il cambio di stagione, con la fine di quella vita, lo spogliatoio, l’adrenalina, il cameratismo, le lacrime di gioia o di rabbia, ecco, è allora che vedi chiaro e capisci quello che conta davvero».

Rimpianti?
«Un po’. Anzi, molto. Essere un personaggio non ha reso la mia vita speciale. Giocare a basket, inseguire la mia passione, è l’unica cosa che mi manca. È un vuoto che può essere colmato solo da un figlio. Lo vorrei tanto».

[…] Come ha fatto un «farfallone» casinista a sfiorare da coach uno scudetto a Sassari vincendo 22 gare consecutive, che credo sia un record?
«Ho avuto culo. Davvero. Una cosa che mi fa impazzire in Italia, è l’importanza che si dà all’allenatore, e non parlo solo di basket. Ce ne sono di due tipi: quelli che pensano di avere la ricetta per far vincere i giocatori, e quelli che invece pensano che siano sempre i giocatori a farti vincere. E se appartieni alla seconda categoria, ti prendi anche un po’ meno sul serio, che non fa mai male».

Ma quindi Pozzecco è davvero diventato un vecchio saggio?
«Beh, sono stato Peter Pan per molto tempo, ma fortunatamente oggi non gioco più con il Lego. Anche se l’altra sera mentre guardavo la televisione sono finito su una specie di Masterchef del Lego».

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