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Spettacolo

Sonia Bergamasco: “Carmelo Bene? Finì con una grande litigata. Io milanese ma i lombardi purosangue non esistono”

Sonia Bergamasco su Carmelo Bene e non solo, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’

Sonia Bergamasco: “Carmelo Bene?Finì con una grande litigata. Io milanese ma i lombardi purosangue non esistono”. L’attrice si racconta rivelando alcuni retroscena che hanno caratterizzato la sua carriera in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Com’è invece la sua storia? Lei è milanese.
«Sono cresciuta al QT8: Quartiere Triennale ottava. Un esperimento, all’ombra della montagnetta di San Siro: una zona oggi molto bella, all’epoca meno. A diciotto anni sono andata a vivere per conto mio, sui Navigli».

Era la Milano da bere.
«Un periodo grigio, opprimente, faticoso. Ricordo con orrore i paninari, con la faccia arancione per le lampade, vestiti tutti uguali».

Lei suonava il pianoforte.
«Lasciai il Beccaria per fare il liceo interno al conservatorio. Lì incontrai il mio primo maestro: Quirino Principe, germanista e musicologo, che aveva tradotto Il Signore degli Anelli».

Il teatro per lei comincia con Strehler.
«Non avevo nessuna esperienza. Feci tre provini, pescando dalle mie letture: Cassandra di Christa Wolf, Guido Cavalcanti e il monologo di Winnie da Giorni felici di Beckett. L’ultimo provino l’ho rivisto di recente: inguardabile, ho chiesto di non mostrarlo mai a nessuno… C’era anche lui, Strehler».

Grande seduttore.
«Grande vecchio, personaggio leggendario per la città, con quella bellissima testa bianca. La musica è stata la mia chiave d’accesso, il mio modo storto di entrare in relazione con il teatro: in maniera musicale, solfeggiata».

Poi l’incontro con Carmelo Bene.
«Un altro grande. Esagerato in tutto. Non era vecchio ma era già malato. Ne ho un ricordo bellissimo. Un anno e mezzo di studio, e poi da sola con lui sul palcoscenico per il suo Pinocchio. Finì con una grande litigata».

Cioè?
«Stavamo preparando La figlia di Iorio, quando scattò la sua fase distruttiva. Non gli andava bene nulla. Gli dissi che era lui ad avermi scelta, e sarei potuta andarmene. Me ne andai. Forse fu giusto così».

Lei ha lavorato con Bertolucci e Castri, ma pure con Checco Zalone: era la sua persecutrice in Quo Vado. Com’è stato?
«Molto impegnativo. Come i veri comici, Checco prima scrive, poi improvvisa. Una grandissima scuola».

Lei è anche la fidanzata di Montalbano…
«Sono entrata rischiosamente in un racconto già iniziato: il pubblico si era affezionato alle due Livia precedenti. Mi hanno aiutato Luca Zingaretti e un gruppo di lavoro formidabile».

…E la moglie di Antonio Albanese in Come un gatto in tangenziale.
«Ora stiamo girando il seguito: Ritorno a Coccia di morto. Antonio è un autore. Lo ricordo ragazzo leggere le poesie di Caproni. Fiero delle sue radici siciliane, che fanno di lui un lombardo doc; i lombardi purosangue non esistono, anch’io ho una mamma napoletana».

[…] Con Fabrizio Gifuni siete sposati da oltre vent’anni. Per un’attrice e un attore, quasi un miracolo.
«Non ho ricette da suggerire. Ci siamo conosciuti lavorando, nel 1995: la Trilogia della Villeggiatura di Goldoni».

Per quale partito vota?
«Posso dirle che ho votato No al referendum… è un periodo confuso, ma so bene da quale parte stare. Guardo con speranza a giovani come Elly Schlein».

[…] In un’intervista al «Corriere», Liliana Segre ha rivelato una lettera molto dura che Levi le scrisse, prima di gettarsi nel vuoto. Ma Rita Levi Montalcini non credeva al suicidio.
«Non ne ho mai voluto parlare, neanche con suo figlio Renzo. Sarebbe come violare una zona di pudore, che appartiene esclusivamente alla persona».

A quale attrice si sente legata?
«A Franca Valeri. Tutte noi siamo in debito con lei. Donna di cultura e anche di musica, ha fatto importanti regie d’opera. Una volta Gabriele Ferzetti disse — e Mariarosa Mancuso scrisse sul Foglio — che la ricordavo. Fu il più bel complimento che abbia mai ricevuto».

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