Alessandro Gassmann sulla nonna ebrea e non solo, lintervista a ‘Il Corriere della Sera’
Alessandro Gassman: “Mia nonna ebrea costretta a cambiare cognome. In Italia clima pericoloso, mi preoccupa un aspetto”. L’attore racconta una parte della sua vita in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
L’attore torna a Venezia con un’altra opera prima, «Non odiare» […]
«Lo spunto è una vicenda accaduta in Germania, dove un chirurgo ebreo si è rifiutato di operare un paziente con un tatuaggio nazista che aveva sulla spalla. Anche il mio personaggio è un chirurgo, Simone Segre, che si trova per caso a decidere della vita o della morte di un uomo con una svastica tatuata sul petto. Anche lui non lo salva e dovrà fare i conti, grazie al contatto con i figli di quest’uomo, con le sue radici e i suoi valori».
E lei cosa farebbe?
«Io Alessandro, forse lo salverei. Ma non sono Simone Segre, non ho un padre che è stato chiuso in campo di concentramento e si è salvato curando i nazisti. È un tema molto complesso. “Non odiare,” dovrebbe essere l’undicesimo comandamento. È importante, tanto più ora dove odio e violenza verbale (e non) sono sempre più presenti e l’avversario è sempre un nemico di abbattere. Chi ha la possibilità e la cultura per discernere deve metterci la faccia, favorire il dialogo. Non siamo bestie, possiamo ragionare. Sta scomparendo la generazione che visse gli orrori del fascismo e della guerra. Maestri preziosi come Camilleri, luce che ci manca molto. Lo stiamo già capendo ora con gli effetti della pandemia».
Alessandro Gassman: “Nonna ebrea costretta a cambiare cognome”
Che clima vede?
«Pericoloso. Il virus ha acuito problemi e difetti. La crisi economica è pesante, per alcuni terribile. Siamo un paese impaurito e disinformato, quello con meno laureati d’Europa. Abbiamo già dimostrato di essere capaci di pagine orrende, complici ignoranza e paura».
Questo film è anche un’occasione per lei per fa i conti con la sua storia.
«Che non ho mai affrontato, come peraltro mio padre. Sua madre era ebrea, dovette italianizzare in Ambrosi il suo cognome, Ambron. E dopo la morte di mio nonno si trovò in difficoltà economica con due figli a carico. Se la cavarono perché mio padre giocava bene a pallacanestro, era nazionale. Ma lui non ha mai smesso di avere paura. L’unica volta che ha messo la kippah fu al matrimonio di mia sorella Vittoria, figlia di Shelly Winters, ebrea e credente. Per lui fu un gesto molto importante. La Shoah non va dimenticata. Io l’ho scoperta anche grazie ai racconti di mia nonna, viveva a Pisa nel ghetto, due nostre parenti della famiglia Ambron furono deportate e uccise nei campi di concentramento».
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