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Lele Mora: “Carcere una tortura, tentai il suicidio. Stavo per diventare prete. Gay? Arriveremo al 51%, gli invertiti siete voi”

Lele Mora sul carcere e non solo, l’intervista a “L’Arena”

Lele Mora: “Carcere una tortura, tentai il suicidio. Stavo per diventare prete. Gay? Arriveremo al 51%, gli invertiti siete voi”. L’ex agente dei vip racconta i momenti difficili dopo l’arresto in una intervista rilasciata ai microfoni de “L’Arena”. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Come divenne agente dei vip?
“Il mio amico Paolo Rossi, il Pablito del Mundial 1982, mi presentò Giampiero Malena, manager di Pippo Baudo e Beppe Grillo, il quale mi aprì la strada dicendomi: «Sei paziente, educato, premuroso. Perché non ti cimenti nel lavoro che faccio io?». Così mollai l’Istituto alberghiero per dedicarmi a Patty Pravo, Loredana Bertè e Nilla Pizzi”.

Non doveva diventare prete?
“Si trattava di una generica vocazione a fare del bene, nata vedendo mio padre che dopo ogni mietitura regalava sei sacchi di grano ai gesuiti. A 18 anni capii che era meglio se mi sposavo. Mi trasferii a Verona. Una bellissima signora, vedova e senza figli, abitante in vicolo Disciplina 10, mi affittò una delle tre camere dove ospitava gli studenti. Mi mantenevo lavorando in Bra, al ristorante Pedavena. Dopo le nozze, andai ad abitare in vicolo Tre Marchetti e poi a Madonnina di Prabiano, tra Villafranca e Valeggio”.

[…] Ma dopo le varie condanne non si era convertito al volontariato?
“L’ho fatto per due anni mentre ero in affidamento ai servizi sociali nella comunità Exodus di don Antonio Mazzi. Aiutavo la mensa dei poveri della Chiesa ortodossa e la onlus Pane quotidiano. Sto mettendo in piedi un centro di ippoterapia per bimbi Down. Fare del bene è l’unica cosa che mi riempie di gioia. Non dovrei parlarne”.

[…] In quanti processi è stato coinvolto, dopo il primo per la coca?
“Premesso che sono contrario a qualunque droga e che l’unica polvere bianca è quella sui mobili di casa, sono stato condannato per evasione fiscale, bancarotta e favoreggiamento della prostituzione nel processo Ruby”.

Lele Mora: “Carcere? Ho passato 13 mesi in isolamento”

L’isolamento.
“Passai 13 mesi di completo isolamento in un cubicolo nel carcere di Opera, controllato a vista, con 40 gradi d’estate, senza un ventilatore. Niente fornello per cucinare. Mangiavo solo tonno Rio Mare. Frutta e verdura dovevo tenerle al fresco nel lavandino in cui mi lavavo. La finestra con doppie sbarre era priva di vetri, per impedirmi atti autolesionistici. D’inverno la temperatura scendeva quasi a zero. Ottenni un piumone solo grazie al certificato dello psichiatra”.

Una camera di tortura.
“All’entrata, il 20 giugno 2011, pesavo 118 chili. Quando uscii, l’1 agosto 2013, ero 48. Mia figlia aveva organizzato un concerto per i detenuti: mi fu impedito di parteciparvi. Il primo volto amico che vidi fu quello del cardinale Loris Capovilla, già segretario di Giovanni XXIII. In precedenza mi era apparso in cella padre Pio”.

Nientemeno.
“Sono molto affezionato al santo di Pietrelcina. Alla vigilia della pandemia, sono stato a pregare sulla sua tomba a San Giovanni Rotondo. Era devoto alla Beata Vergine del Pilastrello, quella che piangeva nel santuario di Lendinara. Anche. Quando torno a Bagnolo Po, passo sempre ad accendere una candela e a comprare i rosari da regalare agli amici. E pure a Benito Mussolini. È l’altra mia religione”.

Soffre ancora di depressione?
“No, l’ho curata”.

In cella tentò il suicidio.
“Sigillandomi naso e bocca con i cerotti che tenevano insieme l’abat-jour rotta. Mi risvegliai in infermeria. Ma non parliamone, è un ricordo terribile”.

La salvò l’agricoltura.
“Il direttore mi autorizzò a coltivare un orto nella discarica del carcere. I miei figli mi spedivano per posta le sementi. Non potendo avere il concime, mi fu concesso di allevare 20 quaglie in gabbia. Usavo il loro sterco come fertilizzante. Regalavo verdura a tutti”.

Teme di ritornare in galera?
“Più della morte. Dovrebbero andarci solo gli assassini, i pedofili e i mafiosi”.

Lele Mora: “In Carcere sono dimagrito 70 kg”

[…] Anni fa lei mi disse: «I gay presto diventeranno maggioranza». Mi sa che aveva ragione.
“Quando arriveranno al 51 per cento, gli invertiti sarete voi”.

E il sesto comandamento? Lo chiedo al prete mancato.
“Lo modificherei così: fa’ quello che vuoi, ma non fare quello che faccio”.

Ma lei non portava le donne da incanto a Silvio Berlusconi?
“Sì. Aveva la mania delle cene tricolori. Dall’antipasto pomodoro, mozzarella, basilico al gelato pistacchio, limone, fragola. Mai il secondo. Si rideva e si scherzava. Andati via i cortigiani, di notte il re si ritrovava da solo con i suoi soldi. Mi pare umano che cercasse di svagarsi. Ma non si è mai permesso di chiedermi il numero di cellulare di una ragazza”.

Però le regalò 3 milioni di euro.
“Per non farmi fallire. La metà se la trattenne Emilio Fede che intercedette a mio favore. Nella lettera c’era scritto che avrei restituito il prestito, senza interessi. Me lo impedì la giustizia, facendomi fallire”.

Fatturava 100 miliardi di lire l’anno, possedeva due Bentley e due Porsche, organizzava feste per 2.000 persone in Costa Smeralda. Com’è potuto accadere?
“Non lo so, non ho mai tenuto i conti. Adesso posso vivere con 1.000 euro al mese o anche con 100”.

Errori ne avrà pur commessi.
“Uno: aver aperto a Riccardo Iacona e alla troupe di “Tutti ricchi”, mandata da Michele Santoro, le porte delle mie ville in Sardegna. Mi sentivo un dio. Sbagliai a mettermi in mostra. È da lì che cominciarono i miei guai”.

Dalla sua vita movimentata che cosa ha imparato?
“È meglio stare con la famiglia. Gli altri ti usano, soprattutto quelli a cui fai del bene”.

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