Edoardo Bennato, il primo disco e non solo, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’
Edoardo Bennato: “Il primo disco un flop poi quell’incontro fuori la Rai. C’è un presupposto per capire la realtà”. Il cantautore partenopeo si racconta tra passato e presente in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Edoardo Bennato, alla fine, come tutti, anche lei ha scritto un libro, perché?
«Perché ho una figlia adolescente, il futuro mi preoccupa e non posso più permettermi il lusso di essere un pazzaglione».
Che sarebbe un «pazzaglione»?
«Ho sempre riempito i testi di strepitii politico-esistenziali e di denunce. Ho cantato contro guerre, razzismo, stupidità, potere. Il primo brano, Salviamo il Salvabile, lo suonavo per strada, mi ero costruito un tamburello a pedale per suonare contemporaneamente anche chitarra e kazoo. Sono partito col punk perché a una comunità schizofrenica rispondevo con un linguaggio schizofrenico. Ho ironizzato su tutto, anche in modo violento, come in Ma che bella città, o in Uno buono, uno sfottò al presidente della Repubblica Leone. Ora, continuo a cantare cose provocatorie, sto registrando un album che esce a settembre, ma la differenza è che mi sento responsabile verso una bambina che si affaccia al mondo».
Gaia ha 15 anni e la chiama ancora bambina?
«Eh… sì. Ne ho una sola. Le sto sempre dietro, anche se è molto assennata e brava a scuola».
L’ha avuta anche tardi, alla vigilia dei 60.
«Sono stato sempre tardivo, la prima ragazza l’ho avuta a 23 anni. Il titolo del libro, che esce per Baldini+Castoldi il 2 luglio, è Girogirotondo e viene da una canzone scritta per Gaia: “Siamo tutti sulla stessa barca, tutti della stessa razza. Ma i cattivi sfortunatamente sempre ai posti di comando, ah ah”. E Koso è opera di Gaia a cinque anni».
Chi è Koso?
«Il pupazzetto di un extraterrestre che le chiesi di disegnare per poterle spiegare delle cose facendole dire al pupazzo. Siccome l’ha fatto lei, Koso può provocarmi, mettermi di fronte alle mie contraddizioni e incolparmi di tutti i mali dell’Italia e del mondo. Venendo da un pianeta più avanzato del nostro, ha già visto tutto, sa più cose».
La più importante?
«Che quello che sembra non è ciò che è vero. Per esempio: dal mio balcone a Napoli, sto guardando Nisida, Capri, il mare è piatto, non c’è vento, tutto sembra fermo, invece, la Terra sta ruotando su se stessa a 1.700 chilometri all’ora, intorno al Sole a 100mila chilometri, e si muove con tutto il sistema solare, a un milione di chilometri all’ora. Questo assurdo dovrebbe essere il presupposto per capire la realtà. E attraverso la morfologia della Terra, leggendo il suo codice latitudinale, si spiega perché ci sono poveri e ricchi, buoni e cattivi».
[…] Nella sua infanzia, cosa sembrava vero e non lo era?
«Papà che tornava in bici, la sera, dall’Italsider di Bagnoli, e diceva a noi tre figli: ragazzi, tutto bene, tutto bene! Chi sa che passava in fabbrica: chiasso, fumo, fatica e la salute barattata con lo stipendio… E noi eravamo fortunati: i miei si amavano e mamma era eccezionale. Nei figli maschi il rapporto con la madre è fondamentale: se è sano, avranno rispetto per le donne».
È la sua mamma quella della canzone Viva la mamma?
«Portava avanti tutto lei, come sanno fare le donne anche quando sembra che siano gli uomini a comandare. Diceva “il risparmio è il miglior guadagno”, non ci ha mai fatto sentire disagi. E s’inventò una scuola materna di quartiere: sceglieva solo le maestre che sapevano dare tanto affetto ai bambini. Sa che il codice latitudinale spiega anche il cammino di emancipazione femminile? Alle latitudini più difficili, come nei Paesi Scandinavi, le donne hanno ruoli di rilievo da due secoli. So che corro dei rischi, che un prof di Scienze Politiche o Sociologia può dire “caro Bennato, non è meglio che faccia canzonette? Voli basso”.
[…[ Il primo disco fu un flop, come riuscì a non arrendersi?
«Ero entrato alla Numero Uno, l’etichetta di Mogol e Battisti. Arrivo, Mogol mi indica Lucio e mi fa: “Lo vedi questo? La prima canzone l’ho buttata nel wc, la seconda pure, alla terza ho cominciato a lavorarci”. Battisti mi portava in macchina a casa e mi diceva “ao’, nun te preoccupa’: prima o poi, verrà anche er momento tuo”. Invece, il primo album vendette zero: non piacque alla radio, dicevano che cantavo troppo sgraziato. Allora, me ne andai a Roma e mi misi a suonare fuori dalla Rai. Mi vede Renzo Arbore, mi segnala a un festival e l’intellighenzia m’incorona simbolo dell’insoddisfazione giovanile».
È la svolta.
«Dissacravo tutto, scrissi pure Affacciati affacciati contro il papa, e Cantautore, contro me stesso: “Tu sei saggio, tu porti la verità ah ah ah”. Negli anni ’70, dovevamo scappare dai concerti, venivano squadre a picchiarci, o ci facevano suonare e poi non volevano pagarci. Pensavano di trovare il divo, invece eravamo io, mio fratello, quello del piano di sotto, più imbestialiti di loro, figli di operai veri, non figli di papà come loro».
Oggi, lei che padre è?
«Seguo le indicazioni di mia madre, sono molto affettuoso. E ora è Gaia che ha preso il posto di mamma e mi dà consigli. Sembra che io guidi lei, ma è lei che guida me».
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