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Spettacolo

Francesco Montanari: “Dopo Romanzo Criminale nessuno mi chiamava, la mia fortuna è stata una”

Francesco Montanari dopo Romanzo Criminale il buio, il racconto a ‘Io Donna’

Francesco Montanari: “Dopo Romanzo Criminale nessuno mi chiamava, la mia fortuna è stata una”. L’attore si racconta in una intervista rilasciata ai microfoni di ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Il lockdown vi avrà messo a dura prova, o no?
“Per niente. Il lavoro spesso mi tiene lontano da mia moglie. Invece l’emergenza ci ha permesso di stare tanto insieme in casa, e ha rafforzato la coppia. È stato bello. Ci siamo uniti di più”.

Va ancora dall’analista?
“Sì, ho interrotto, poi ripreso. È un percorso che aiuta ad attivare dei meccanismi, non me lo impone nessuno. La frenesia della quotidianità ci allontana da noi stessi. Non abbiamo mai un momento per chiederci: come sto? È una domanda che tutti dovrebbero farsi, invece di affannarsi, di essere bulimici di vita. Fermiamoci e osserviamoci. Ognuno può trovare il suo modo, quello che più si avvicina alla sua sensibilità. C’è la meditazione, lo yoga. Per me, l’analisi. L’attore deve guardarsi dentro, prima di uscire da sé e mettersi nei panni di qualcun altro”.

Perché ha scelto questo lavoro?
“Per conoscere me stesso. Ho ancora tanto da fare per riuscirci”.

Ha iniziato a recitare alle medie, grazie al suo professore di italiano, appassionato di teatro, che le ha fatto interpretare Mastro Titta in Rugantino. Quando ha capito che sarebbe diventato una professione?
“Negli anni del liceo non giocavo a calcio, gli amici mi escludevano e durante le partite restavo solo o andavo sugli spalti a fare compagnia alle ragazze. Mi sono iscritto a un laboratorio teatrale ed è stato allora che ho preso la mia decisione. Mio padre, chirurgo ortopedico, sperava che prendessi la sua strada. Invece un giorno ho comunicato ai miei che mi sarei iscritto all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Non mi hanno mai ostacolato”.

Francesco Montanari: “Dopo Romanzo Criminale nessuno mi chiamava”

A 23 anni subito la notorietà, con la serie tv Romanzo criminale. Come ha fatto a “liberarsi” del Libanese?
“La mia fortuna è stata il teatro. Dopo Romanzo criminale, nessuno mi ha più chiamato per un provino. Un silenzio pesantissimo, durato due anni. Per strada sembravo un divo alla Michael Jackson, tutti a salutarmi. Ma il telefono restava muto. Poi per caso ho incontrato Massimiliano Farau, che era stato mio prof in Accademia, e mi ha proposto il ruolo da protagonista nello spettacolo teatrale Killer Joe. Quando ho visto la sala strapiena, sono rinato. Da lì, le prime proposte”.

Lei fa spesso parti da duro: nel suo prossimo film, La volta buona, sarà un procuratore di calcio senza scrupoli. Però sa anche stupirci, come quando ha presentato la Tosca, per la Prima della Scala. Dopo la letteratura, ama la lirica?
“Molto. Sono entrato in un teatro dell’opera la prima volta a 9 anni, al Massimo di Palermo, con papà. Sono rimasto affascinato, a bocca aperta. Mi sembravano tutti supereroi. Una rivelazione. E sa cosa rappresentavano? Proprio la Tosca. Era destino”.

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