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Spettacolo

Fabio Volo: “Ho la crisi della terza età. Paura per i figli? Solo se mi diventano juventini. Vi racconto…”

Fabio Volo con la crisi della terza età, lo scrittore si racconta in una intervista a Tpi.it

Fabio Volo: “Ho la crisi della terza età. Paura per i figli? Solo se mi diventano juventini. Vi racconto…”. Lo scrittore si racconta in una lunga intervista rilasciata a Selvaggia Lucarelli per il sito Tpi.it. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Come è stata la tua quarantena?
“È successo che a fine febbraio mio figlio più grande era in vacanza perché la scuola d’inglese era chiusa per la settimana bianca. Johanna era con i nostri figli e con una coppia che ha un bambino che va in classe con Sebastian, in Liguria. Io li avevo raggiunti il giovedì, poi la domenica hanno annunciato il lockdown e siamo rimasti lì, in una casa in affitto per due famiglie”.

Una specie di comune hippy.
“Sì. Senza le cose belle degli hippy”.

Tipo?
“Senza le droghe. A parte gli scherzi, abbiamo vissuto in una dimensione molto bella, i bambini avevano gli amici e in più c’era un giardinetto. Siamo stati in una bolla”.

Andavi a fare la spesa?
“Se potevo saltavo i miei turni. A me piace stare in casa, ci resto quasi sempre, che poi è anche uno dei motivi di noia della mia compagna”.

Come tutti i misantropi quindi hai vissuto bene la quarantena.
“Io devo scrivere, leggere, pensare, la casa è la dimensione ideale. A Milano prima del virus mi concedevo giusto la palestra la mattina, quando non uscivo per lavoro”.

In effetti notavo dalle foto su Instagram che da un po’ mostri un’inedita attenzione per il fisico. 
“È la crisi della terza età”.

Volevo arrivare lì.
“Ne sono cosciente. Mi è arrivata quella roba lì che dici: cazzo, vedo il declino, rallentiamolo. Non è che ho un bel fisico, cerco di arginare. Sto diventando come L’Avana, a qualcuno può anche piacere quella decadenza, ma ci vuole l’occhio del turista”.

Ma da quanto hai questa crisi?
“Da più o meno un anno”.

Fabio Volo: “Ho la crisi della terza età. Paura per i figli? Solo se mi diventano juventini. Vi racconto…”.

Quale è stato l’evento scatenante?
“Una serie di cose. I miei figli sono un po’ più grandi, io inizio a voler lavorare meno e la mattina, fino a prima della quarantena, mi ero concesso il personal trainer che non avevo mai avuto. È il sentire i 50 che si avvicinano”.

Non c’è stata una cosa che hai detto: eh no, questo è sintomo di vecchiaia incombente?
“Il primo sintomo è quando il cameriere ti chiede se l’acqua la vuoi temperatura ambiente o frigorifero”.

Perché?
“Perché si preoccupa che non ti venga una congestione”.

È il cambiamento fisico che ti ha spaventato?
“Le ginocchia sono una spia importante. L’età la vedi da lì. A una donna devi guardare il ginocchio, è come contare i cerchi sui tronchi. Quando io faccio yoga e mi metto nella posizione del cane che guarda in giù, mi vedo le ginocchia, ecco lì è un dramma. Comunque dentro in fondo sono sempre stato un anziano”.

In cosa saresti un anziano da sempre?
“Mi piace fare le cose che fanno gli anziani: leggere, guardare i film, viaggiare come i pensionati, le calze bianche, le Birkenstock che mi ha fatto prendere Johanna”.

Fabio Volo in crisi: “Cerco di rallentare il decadimento”

[…] Prima hai detto che con i figli ti senti inadeguato. Perchè?
“Il problema è l’equilibrio tra la salvaguardia di ciò che sono io come persona e il ruolo di padre. Lavoro tutto il giorno, non vedo i figli, sono le sette di sera, me la meriterò una birra con gli amici per parlare di niente, no? Sì, vado. Poi però torno, mio figlio dorme, non l’ho visto tutto il giorno e penso di essere un egoista. Se resto a casa con lui penso: però non c’è mai posto per me. Insomma, so che devo conservare delle cose che sono solo mie, che mi danno la gioia di vivere, perché non sempre io riesco a estrarre la gioia di vivere stando con i miei figli, ho bisogno di andarla a prendere anche da altre parti”.

Qual è lo strumento che ti sei imposto di dare ai tuoi figli, quello che non sai cosa ne faranno ma tu glielo dai comunque?
“Io dico sempre una cosa a loro e loro mi ripetono la risposta a memoria: “Qual è la cosa più importante? La gioia di vivere!”. Che non è nemmeno la felicità. Li voglio indipendenti, sono fortunato perché Johanna è islandese, ha la mentalità nordica”.

Non hai paura che diventino qualcosa che non ti piace?
“Sì, ma la mia forbice delle aspettative è abbastanza larga. Se poi mi diventano juventini, lì le cose vanno in crisi”.

Insomma sei preoccupato più per te che per loro.
“Sì, sto imparando a fare il padre facendo il padre”.

Tu e Johanna vi scontrate mai nell’educazione?
“A volte si scontrano le due culture. Mi sento molto mamma italiana, lei è la mamma islandese. Se siamo a cena, lei si diverte. Io sono quello che chiama i nonni e chiede se va tutto bene, che va in vacanza in un posto e guarda quanto dista l’ospedale”.

Chiudiamo con l’ultima polemica in ordine di tempo: quando hai detto che Ariana Grande va vestita in quel modo lì e ti preoccupa per le tue figlie.
“Spero non riparta il merdone, ma provo a spiegarmi. Io ritengo che se il pubblico a cui ti rivolgi è quello della pre-pubertà, gli ammiccamenti sessuali siano una cosa sbagliata. Secondo me eh. Pre-pubertà vuol dire che un bambino non capisce la malizia dell’adulto, non ha gli strumenti per interpretarla e per me una ragazzina di 9 anni che fa ammiccamenti erotici è qualcosa di sbagliato”.

Fabio Volo: “Crisi terza età? C’è la palestra…”

Se sentissimo le tue puntate radio di 20 anni fa chissà cosa ti direbbero oggi, con l’indignazione social sempre in agguato.
“Ammazza. Guarda, ti racconto questo: ero ancora a Radio Capital tipo 20 anni fa. Una volta ho fatto una battuta dopo due mesi che ero in onda. Esco dalla diretta, c’era ancora il fax, sai quello col rotolo che non si interrompeva mai come la carta igienica. Era tutto srotolato per gli insulti che mi erano arrivati”.

La prima shitstorm via fax della storia.
“Uh. Faceva impressione”.

Ma che avevi detto si può sapere?
“La sera prima ero andato a cena sui Navigli, c’era un amico gay che aveva fatto una di quelle battute che però possono fare solo i gay su loro stessi. Cioè, io posso parlar male dei bresciani perché sono bresciano, non posso parlar male di Napoli, ci sta. Beh, l’ho ripetuta in radio ma con innocenza. Non hai idea di cosa mi hanno scritto”.

Me la dici questa battuta?
“Nel locale non c’erano abbastanza sedie. Il mio amico disse: per noi gay basta girarla e ci sono 4 posti. E io l’ho ripetuta senza pensarci”.

Oggi saresti licenziato.
“Fortuna che non c’erano i social. Però te lo giuro: saranno stati almeno 7/8 metri di fax”.

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