Coronavirus, il dramma dell’ultimo saluto mancato ai tempi della pandemia,
Coronavirus, dramma ultimo saluto mancato: i consigli dell’esperta. In questo tempo ‘eccezionale’ scandito dall’assenza dell’incontro fisico e dalla percezione di una minaccia alla vita – sebbene a diversi livelli da persona a persona – abbiamo sviluppato rituali di sopravvivenza alla crisi Covid divenuti cliché mondiali, come appendere arcobaleni dipinti, organizzare flashmob d’intesa collettiva e coniando slang linguistici finalizzati ad un utilizzo della parola, inflazionato ora come non mai (andrà tutto bene – uniti ce la faremo – io resto a casa).
Cos’è un rituale se non ciò che serve ad ‘accompagnare’ un passaggio, una trasformazione, un momento decisivo dell’esistenza umana, per l’appunto una crisi. Una sorta di processo accolto da tutti affinchè la solidarietà faccia sentire i suoi effetti benefici, primo tra tutti la condivisione. La storia dell’uomo è piena di rituali, l’antropologo francese Arnold Van Gennep (1873-1957) li definiva “riti di passaggio”.
In questo tempo di ridimensionamento ‘collettivo’ del quotidiano, se da un lato ci siamo trovati di fronte all’emergere di nuovi rituali di condivisione, dall’altro siamo stati privati, violentemente direi, di uno dei rituali emotivamente più risonanti. La sepoltura.
Coronavirus, dramma ultimo saluto mancato
L’emergenza Covid ci ha posto di fronte all’impossibilità di ‘accompagnare’ i nostri cari defunti attraverso il tempo del rito funebre, un tempo nel quale l’elaborazione del lutto può avere inizio, collocarsi, attraverso la condivisione del dolore ‘in presenza’ di familiari, amici, ma soprattutto attraverso lo sguardo sulla realtà, che sebbene dolorosa, segna nell’immaginario di chi resta il posto ‘diverso’ nel quale poter conservare il ricordo.
L’idea della cremazione, con tutti i risvolti immaginari che comporta (il fuoco che brucia e non lascia più traccia), sembra essersi imposta ‘traumaticamente’ – nel senso di ciò che crea uno sconvolgimento dell’ordinario – a dispetto di ogni accoglimento graduale o accettazione culturale (soggettiva e/o collettiva).
Eppure abbiamo dovuto accogliere questa idea, questa modalità di ‘saluto non saluto’ affidandoci all’elaborazione del lutto senza rituale, senza l’ultima parola, senza sfogo. Siamo alle prese con ‘un sospeso’ (dal latino suspensus – appeso in alto) che deve essere letto proprio nel suo stretto significato di qualcosa che non è accaduto ‘a terra’, non ha lasciato traccia: l’ultimo sguardo, l’ultimo abbraccio, l’ultima carezza, l’ultima camicia… racchiusi in un’urna.
● Lo psicodramma e il ‘surplus di realtà’ ideato da Moreno, in un adeguato clima gruppale di contenimento può favorire l’ultimo saluto. Il mio impegno come psicodrammatista sarà in tal senso.
Nel frattempo, nello spirito essenziale dello psicodramma il mio invito è a condividere parole autentiche di presenza. Perché le parole possono avere più forza di una presenza fisica.
Ogni assenza, d’altronde, è una ‘diversa presenza’.
Dr.ssa Maria Pirozzi
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