Gabriele Muccino sul Coronavirus, il regista annuncia il suo lavoro su questo momento in una intervista ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’
Gabriele Muccino: “Coronavirus? Farò un film coi racconti della gente. Ma temo tensioni sociali forti…”. Il regista annuncia il suo lavoro su questo momento in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
A cosa sta lavorando?
«Ho in ballo tre progetti. Uno che cerco di portare alla luce da vent’anni, che parla di divorzio. Molto difficile per me che ne ho esperienza diretta: l’oggetto è troppo vicino alla macchina da presa per metterla bene a fuoco. Poi c’è un vecchio sogno di un film ispirata a un classico. E Il grande caos, un film sul tempo folle che viviamo, spero di essere in grado di raccontarlo. In ogni nazione il virus è stato prima sottovalutato per poi correre ai ripari estremi. È stato come rivedere lo stesso film ogni giorno, come Il giorno della marmotta. Eppure le immagini dello tsunami erano davanti ai nostri occhi. Ma non ci si è voluto credere. Ho chiesto alle persone di mandarmi contributi».
Stanno rispondendo?
«Ricevo una mail ogni 5/10 minuti, materiale umano potentissimo. Mondi molto diversi, dal profondo nord al sud, tutte le età, tipologie sociali e culturali. I giovanissimi si sentono scippati del futuro. Non uscire di casa a 16 anni vuole dire anche sospensione delle relazioni amorose e sessuali, un inedito assoluto, come un castigo divino».
Gabriele Muccino: “Coronavirus porterà tensioni sociali”
E gli adulti?
«Riflettono sulle proprie esistenze, le donne capiscono che sono sole da tanto all’interno della coppia, una solitudine così ossidata che non sanno più gestire il rapporto. Alcune famiglie trovano una rinnovata armonia, altre credo scoppieranno. E poi c’è il grande tema della morte. Vicina ma lontana con l’impossibilità dei funerali, di cerimonie dell’addio. Quelle morti dietro agli scafandri, con i saluti dei familiari via ipad, una delle cose più desolanti».
«A casa tutti bene», «Gli anni più belli». Sono i titoli dei suoi ultimi film.
«Attuali, eh. L’ultimo stava andando benissimo in sala, aveva superato i 5 milioni e mezzo di euro. Quando i cinema riapriranno (chissà quando e come) dovrebbe riprendere la sua corsa».
Quale sarà la prima cosa che farà a fine quarantena?
«Nulla sarà esplosivo e liberatorio come le grandi fini delle tragedie umane, ma progressivo e pieno di diffidenze. All’inizio la reazione è stata esorcizzare cantando, cucinando, ora viviamo una fase più tesa. La transizione alla nuova normalità lascerà segni profondi: il divario tra ricchi e poveri aumenta, molte famiglie stanno finendo i soldi. Enorme perdita di lavoro e Pil. Ci saranno macerie non di mattoni ma molto simili a quelle sulle quali fu ricostruita l’Italia del dopoguerra. Non ho paura per me ma per il futuro di tutti. Servono scelte rassicuranti, temo deragliamenti verso tensioni sociali forti. Se non facciamo in fretta sarà un buco nero».
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