Pasquale Panella su Battisti e non solo, uno dei più grandi parolieri italiani nella sua unica intervista rilasciata ai microfoni di ‘Rolling Stones’
Pasquale Panella: “Battisti? Mi sconsigliavano di lavorarci. Nessuno si è accorto che ho lavorato con artisti coi problemi…”. Uno dei più grandi parolieri italiani si racconta in una intervista più unica che rara rilasciata ai microfoni del collega Gianmarco Aimi per ‘Rolling Stones’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Da tempo ti rincorro. Mail, telefonate, tramite l’ufficio stampa della casa editrice dell’ultimo libro. Nessuna risposta per settimane. Poi un giorno, a sorpresa, mi hai chiamato tu.
“Non sfuggo, infatti eccomi qua a braccia pendule con le armi a terra. Ma non riesco a concepirmi come interlocutore del giornalismo, ontologicamente. Però non mi tiro indietro, sempre ricordando che non amo essere intervistato. Non che non apprezzi il genere intervista, sono io a essere un de-genere. Lo fai contro le mie volontà tutte, però fallo”.
Parto dalla “scusa” usata per avvicinarti e cioè il volumetto che si intitola Naso. O delle cattive letture, delle scritture impure della fine degli anni Sessanta e pubblicato ora per la prima volta da Fefè Editore. Un’opera giovanile uscita a quasi 50 anni di distanza. Piuttosto inusuale.
“È una cosina dei miei 19 anni, che colloco quando andavo a scuola, alle superiori, ed ero uno dei peggiori studenti d’Italia. L’ho scritto in classe, così mi procuravo delle ripetizioni di anni, ero scarsissimo. Il banco lo usavo come ufficio, mentre la notte andavo nei teatrini a fare questi affastellamenti di cose, tutti svianti. È un testo che continua a sfuggire a una ipotesi di teatro, a una eventualità scenica”.
Pasquale Panella: “Battisti? Ci sono state cose terribili provate da creature…”
Come mai tanta avversione a esporti pubblicamente?
“La promozione mi fa schifo. In questo momento penso: “Già divento personaggio”. Sono teatrale di natura, però mi dà fastidio promozionalmente. Se lo vivessi su un palco a rischio dei pomodori, andrebbe bene. Ma parlare, facendo diventare megafonico quel che dico, mi fa senso. Sono cavilloso, proseguo subito a revisioni del testo, senza parlare delle inesattezze. Mi dà fastidio se parlano bene, mi aizzano quelli che si esprimono in maniera negativa. Parlando pre-novecentescamente, quando leggo le critiche mi vien voglia di andare al bordello”.
Si dice in giro che lo scorso gennaio tu abbia compiuto 70 anni. Nessuna celebrazione pubblica, anche se non penso ti sia dispiaciuto. Ma cosa fa Panella nel suo quotidiano?
“Dicerie dicerie… ho dovuto cambiare spesso la carta d’identità, ho fatto carte false. Sul mio quotidiano, i testi cantati non sono testi cantati. Sono testi scritti. Una volta lo dissi, forse solo a me: sono loro il mio romanzo, la mia biografia. È tutto vero. Ecco perché non capiscono cosa io stia dicendo. La gente non concepisce ciò che è vero. Più ci si avvicina al vero e meno è comprensibile. Non come i cantautori, con le loro stupidaggini più o meno engagé: “La locomotiva…” delle cose da ridere. Oppure le poesiole con le rimucce. Letto Pascoli hai letto tutto. Lui ha risolto la rima meravigliosamente e se vogliamo un po’ Carducci. Quello che ho scritto è il mio quotidiano”.
Pare che non ami neanche le recensioni sui tuoi scritti, che siano nelle canzoni o nei libri.
“Sono stato il peggiore in tante cose, ma di certo sono uno dei più grandi ignoranti di musica leggera del mondo. Del mondo! Non me ne frega niente, non l’ho mai ascoltata, non me ne importa nulla, mai avuto giradischi e dischi, e considerazioni mica tanto benevole per chi ascolta le canzoni”.
Eppure, sui “dischi bianchi” con Lucio Battisti i critici hanno aperto dibattiti infiniti, non ancora risolti.
“Ecco, qui cominciamo a diramare mica poco. Ci sono state cose veramente orribili che hanno tentato delle povere creature, con libercoli nei quali azzardavano interpretazioni. Delle vere fesserie! Tra l’altro uno di questi mi si è presentato davanti, mentre facevo una lettura, e mi diede il libro, che è rimasto nella busta come me l’ha passato. Fanno interpretazioni del tutto sbagliate. Me ne avevano parlato, così gli dissi: “Ma tu, lo sai che tutto quello che dici è falso?”. E lui rispose: “Sì, ma anche di Shakespeare”. Comprendo la giusta analogia, ma allora “sé po’ dì tutto”. Quello che gli sfugge è che sia vero e rinviano ad altro che non vuol dir nulla. Non parlo d’altro da me e da ciò che mi circonda”.
Pasquale Panella: “Battisti? Altro che per denaro, vi spiego…”
Cerchiamo di aiutarli spiegandogli chi ti ha ispirato. Quali sono i tuoi riferimenti?
“I libri delle elementari. Uno su tutti, tengo a citarlo, un testo decisivo che si intitola: “Passerotti”. Ce l’ho ancora, dalla prima elementare. Quando leggo quel libro, praticamente ci annego dentro. È la totalità. Da quel volume annego totalmente in me. Poi esco fuori, mi do una asciugata e scrivo due-tre cose. E adesso voglio fare io la domanda a te: trovi i riferimenti di questo testo in quello che scrivo? Sai, la “grande intervista” è una scaramuccia, no?”.
Avendo una mamma maestra elementare, potrei anche rintracciare quel libro. Il difficile è ricondurre “Passerotti” ai testi che hai scritto.
“Anch’io avevo una mamma maestra. Ma sai l’ultima, io stesso sono maestro elementare. Qualcuno mi si rivolge con questo appellativo: “Maestro”. Ma come, gli rispondo, già mi conosci? Avevo scelto le magistrali perché sulla carta sarebbero dovute durare meno delle altre scuole, quattro anni e invece ce ne misi sei! Poi feci delle supplenze ma senza entrare di ruolo, capendo che non era roba mia. Facevo lezione e poi correvo in teatro, come quando ero studente”.
Già allora giocavi con le parole e il loro significato?
“Rischiai una denuncia per istigazione al turpiloquio. Non era vero niente, naturalmente. Io non apprezzo la poesia, ma istigavo gli studenti al poetico spingendoli a scrivere le parole che più sentivano. E così, alcuni di loro cominciarono a sciorinare parolacce. Un bel giorno, mi ferma il preside con il padre di un ragazzino, di mestiere brigadiere. Era pronta l’istruttoria. Allora dissi: «Chiamiamo il bimbo. Risolviamo subito la pratica, non ho tempo da perdere». E lo interrogai: «Il maestro ti ha forse dato un dettato?». «No». «E quelle parole dove le hai ascoltate, che così sentitamente ti sgorgavano dal cuore?». “A casa da papà”. Ecco, capito come si fa la poesia?”.
Pasquale Panella: “Battisti? Tutto quello che è stato. Niente di testimoniabile da me a nessuno”
Qualche tempo fa intervistando Alberto Salerno, mi disse che la sua personale classifica degli autori di “canzonette” era questa: al primo posto Giancarlo Bigazzi, secondo Sergio Bardotti, al terzo Mogol e al quarto lui. Però in privato mi confessò di stimarti.
“Non le chiamerei canzonette, io al massimo faccio uscire canzoncine. Canzonette lo usano in accezione peggiorativa. Non li conosco. Sono tutti sicuramente nel loro esercizio più adatti di me, come Salerno, Migliacci, Calabrese. Le canzoni non le so scrivere. Ho scritto parecchi testi per canzone. Si scrive perché si sa di saper scrivere. Se sai di saper scrivere, tu sei il migliore. Sai per chi è difficile essere il migliore? Per sé. Io andrei alla morte, e non abiurerei, affermando chi è il migliore: “Io””.
Non a caso in passato hai dichiarato: «Se devo chiedere un parere autorevole, lo chiedo a me».
“Sì, certamente. E aggiungerei: «Eppur mi muovo»”.
Ma c’è qualcuno che apprezzi, sia in ambito musicale che letterario o semplicemente intellettuale? Ti faccio due nomi che sono sempre nel vortice delle polemiche, ma che certamente hanno spessore: Vittorio Sgarbi e Morgan.
(Scoppia a ridere) “ma come non riconoscere a queste figure una certa vivacità espressiva, come di un altro che è stato il mio direttore: Giuliano Ferrara. Sì, certamente. Ma cosa condividiamo? Niente. Da ottobre neanche più il cane bassotto, che so essere una passione di Ferrara. Di fronte a una vivacità espressiva, molti dicono “è il suo pensiero”, ma davanti a questo parliamo ancora di pensiero? Quel che conta è la vivacità espressiva. Qui siamo contemporanei di figure che veramente vanno appresso a un pensiero. Ma per favore, quale pensiero? Ho scritto una raccoltina intitolata Pensiero Ballabile. Si trovano su Youtube”.
Pasquale Panella: “Battisti? Con Minghi ho fatto vera sperimentazione…”
Morgan è un musicista colto e anticonformista, neanche con lui ti troveresti?
“Penso di tutti, che nelle loro espressioni sono più bravi di me. E io sono più bravo nelle mie. Mica saprei cantare o suonare come Morgan. Neanche pettinarmi come Morgan, lui si pettina da dio. Credo che, alle volte, collaborare è una rovina. Sono cose che se accadono, accadono. Così, senza pensarci molto. Se per caso inciampassimo tutti e due nella stessa aiuola e ognuno acchiappasse l’altro per non farlo cadere: “Ah tu sei Morgan?”. “Ah tu sei Panella?”. “Facciamo una cosa?”. Ecco, per dire”.
Quindi nessuno che stuzzichi il tuo interesse?
“Se devo utilizzare la figura del piacere, a me piace farlo nel momento in cui lo sto facendo per chicchessia. Come Totò. E quello che sto facendo è il meglio. Senza distinzioni. L’uno vale l’altro e tutti valgono tutto. I migliori artisti italiani? Con spavalderia risponderei: quelli con cui ho collaborato. Non ho rammarico per nessuno. Perché vige la legge della sperimentazione. Il piacere è farlo, non viene da altro”.
Così avvenne con Lucio Battisti. Cosa ti resta di lui a 22 anni dalla scomparsa?
“Tutto quello che è stato. Niente di testimoniabile da me a nessuno. Quelle personali visibili sono già nelle cose scritte. Non parlo di nessuno con i quali ho collaborato. Conoscendo quello che travisano e deformano alcuni sedicenti testimoni, posso solo dire che è tutto falso”.
Pasquale Panella: “Battisti? Volevo toglierlo dai piano bar e dalle gite”
Restano però cinque album, i cosiddetti “dischi bianchi”. Amati da alcuni, detestati da altri. Ma su un aspetto mettono d’accordo tutti: non vengono mai riproposti nelle celebrazioni battistiane. Come mai?
“Quando li ho scritti, avendo una vaga idea di chi fosse Battisti, per me era il momento di togliere le sue canzoni dai falò, dai pianobar, dalle gite. Il passato di Battisti è trivializzato da questa roba. Credo sia molto offensivo un pullman che canta Battisti. È offensivo per un artista. Lo usano come scarico. Un defaticamento. Come la Roma mentre fa allenamento, canta Battisti. Anzi no, perché noi siamo seri”.
[…] Insomma, l’operazione con Battisti fu distruggere tutto ciò che Battisti era con Mogol.
“Sì, volevo toglierlo dai falò, dalle tradotte, dai bus dei turisti e soprattutto, quello di cui sono davvero soddisfatto è che quando scrivevo i testi pensavo: di queste cose non potranno parlare. Toglierle anche dalla voce critica. È il vero grande risultato contro la morte. Io che “Eppur mi muovo”, ovvero non torno indietro dal denunciare al mondo chi sia il migliore, ecco, davanti alla morte dico: è assolutamente così. Mi da irritazione quando arrischiano a parlarne, perché sono tanto cretini che non ne devono palare”.
C’è anche chi ha insinuato che ti sia approfittato di Battisti.
“Battisti per danaro? Intanto è lui che ha chiamato me per lavorare su Pappalardo e poi mi ha chiesto, eventualmente, di proseguire. Questa affermazione è offensiva per gli artisti. Per me uno vale l’altro. Considero grande Marco Armani quanto Lucio Battisti. Se senti i provini di Armani, cadi per terra. Ti prende un colpo. I soldi meno li pensi e più ti arrivano. Devi ignorarli. Se sai fare una cosa falla, ti darà da vivere. Quanto all’aver fatto i dischi di Battisti, è stata una rogna più che altro”.
Pasquale Panella: “Battisti? Figure importanti della discografia mi sconsigliavano di lavorare con lui”
Con tutto il rispetto per Marco Armani, ma Battisti aveva un peso ben diverso.
“Figure importanti della discografia mi sconsigliavano di lavorare con Battisti. Fu un gesto coraggioso da parte mia. Non mi preoccupo mai del rischio, anzi, vado volentieri a rischiare. Ma se vanno a notare le mie collaborazioni, ho sempre preso artisti con problemi. Non se ne è accorto nessuno! Amedeo Minghi era stato licenziato. Molti artisti mi chiamavano, perché essendo nel “problema” accettavano il rischio che scrivessi per loro. Perché io sono rischioso. E diciamolo al meglio a queste persone che si permettono il lusso di certi giudizi: probabilmente molti si sono rivolti a me perché altri non volevano lavorare con loro. Ma l’artista vero, e lo dico io che non sono sensibile a questo, deve guadagnare tanto. Non invoco il dolore per scavare una pagina. I dolori ce li spartiamo tutti nella stessa misura, chi prima e chi poi”.
[…] A differenza di Battisti, la collaborazione con Minghi ha dato risultati anche nelle vendite.
“A proposito di danaro. A quel tempo, la mia vita era pagata da La vita mia. Battisti non produceva nulla, poca roba. Sarei morto di fame. Non c’erano tv, radio, spettacoli per quei brani. I dischi sono una porzione dell’intero. Minghi con una serata mi dava un anno di Battisti. E pensare che era stato annunciato come un fallimento. Invece quel rischio sperimentale ha pagato. Con Battisti non ero sperimentale, soprattutto dal secondo disco li scrivevo in una settimana. Ma perché mi fermavo, sennò ci avrei messo un giorno. Tutto quello che ho fatto è perché mi hanno chiamato”.
Quindi chi crede che i dischi con Battisti siano sperimentali sbaglia e dovrebbe guardare più a quelli che hai condiviso con Minghi?
“Con Minghi ho fatto vera sperimentazione. Esiste la catena espressiva delle prevedibilità: la città vuota, il cane che abbaia. Ovvietà. “Binario, triste e solitario”. La bravura sta nel non usare quelle espressioni. Con Minghi, data la potenza melodramatica della sua musica, dovevo sperimentalmente lavorare intorno alle strutture della scrittura sentimentale. Quella di Minghi è bella musica. È difficile essere dei melodisti bravi. Lo avverti quando cantano dai balconi. A distanza, la musica è piena di echi, sporca, con rimbalzi e allora la composizione fatica moltissimo ad arrivare. Gli altri pensano al Coronavirus e io alla composizione musicale, ma ti rendi conto?”.
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