Coronavirus, a Mediglia è una strage: morti 62 persone nella stessa struttura per anziani del piccolo comune nell’hinterland Milanese
Coronavirus, a Mediglia è una strage: morti 62 persone nella stessa struttura per anziani. Quello dentro alla residenza Borromea è un mondo dove la vita e la morte sono l’una accanto all’altra. Via Michelangelo 9, Mombretto di Mediglia. Uno dei casi più terribili dell’emergenza coronavirus in Lombardia. Sessantadue morti in meno di un mese su 150 ospiti. Quasi uno su due.
Il focolaio di Mediglia è stato il primo «esploso» nelle residenze sanitarie per anziani. I primi casi risalgono al 4 marzo, quando la direzione sanitaria della Rsa privata ha comunicato all’Ats la positività di due anziani che il giorno prima erano stati portati al pronto soccorso. Tre giorni dopo erano già 40, tra pazienti e operatori. Ma nel frattempo i morti erano già diventati cinque, e poche ore dopo venti.
Lo racconta il sindaco di Mediglia Paolo Bianchi a ‘Il Corriere della Sera’. Il primo cittadino lo ha scoperto guardando i dati dell’anagrafe e quei decessi che crescevano di giorno in giorno. Sempre allo stesso indirizzo: «Siamo una cittadina di 12 mila abitanti, abbiamo avuto 69 vittime per Covid-19, 62 tutte in via Michelangelo 9. Un dato enorme».
Già il 23 febbraio, il sindaco Bianchi aveva ordinato la chiusura alle visite della Rsa come previsto dall’ordinanza del governatore lombardo Attilio Fontana. «Eppure le sono continuate. La struttura non è stata chiusa del tutto. Perché?».
La domanda adesso rimbalza tra i parenti di chi nella residenza Borromea ha lasciato un pezzo della propria famiglia. C’è Milva Ulturale, 55 anni, che ha perso sua mamma Gilda, 87 anni, e dodici figli cresciuti in via Sem Benelli a Milano, nel popoloso quartiere Gallaratese.
«Da bambini ci chiamavano la famiglia Bradford. Alla Rsa ci dicevano che stava bene. Poi quando s’è aggravata, dicevano che si toglieva da sola l’ossigeno, per questo stava male. Ma non è vero niente. Ci hanno chiamato, siamo andati al pronto soccorso del San Raffaele. Il medico ha detto che non aveva speranze: non l’hanno potuta neppure intubare». Milva ha curato sua madre ogni giorno, da due anni era ricoverata alla Borromea.
«Abbiamo dovuto organizzare il funerale, la cremazione, al telefono. Tutti in quarantena. Ricordo che quando sono andata a trovare mia mamma, ai primi di marzo, il personale non indossava neppure le mascherine. Le portavano al collo: “altrimenti gli anziani si spaventano…”. Sapete perché adesso voglio sapere la verità? Perché lei lo avrebbe fatto per i suoi figli».
Coronavirus, a Mediglia è una strage: morti 62 persone
Claudia Bianchi, 47 anni, ha invece perso la nonna Palmira. Ottantotto anni, quattro figli: «Avete presente la classica nonna che cucina per tutta la famiglia, che non si ferma mai? Ecco. Io ero quasi gelosa, perché nel nostro palazzo a Peschiera Borromeo tutti la chiamavano “nonna” e lei ha cresciuto tutti i bambini come suoi nipoti».
È morta la sera del 16 marzo. «La mattina ci hanno detto che stava bene. Alle 18 l’hanno messa sotto ossigeno, alle nove e mezza di sera ha smesso di respirare». La nipote racconta che Palmira negli ultimi tempi soffriva d’Alzheimer, ma gli esami erano a posto:
«Nessuno ci ha avvisato, nessuno ci ha detto che lì dentro era esploso un focolaio. Lo abbiamo scoperto grazie a una lettera del sindaco. Perché le famiglie non sono state avvisate? Quali controlli sono stati fatti dall’Ats sulla catena dei contatti di vittime e positivi? Sui fornitori che entravano nella struttura? Non so se otterremo mai giustizia, ma lì dentro qualcosa è successo. Ed è stato davvero come una guerra».
La società che gestisce la Borromea e il direttore sanitario hanno ricostruito la loro versione in una relazione datata 18 marzo. Dicono di aver applicato dal 22 febbraio — 48 ore dopo la scoperta del paziente zero a Codogno —, le procedure stabilite dall’Ats, di aver sempre informato i vertici dell’Ats Città di Milano e di aver messo in sicurezza gli asintomatici», le sue parole a ‘Il Corriere della Sera’).
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