Phoebe Waller-Bridge si racconta ripercorrendo alcune importanti tappe della sua carriera in una intervista ai microfoni di ‘Io Donna’
Phoebe Waller-Bridge si racconta: “Successo? Avrò un’idea di ciò che mi sta succedendo solo in un momento”. L’attrice, sceneggiatrice e commediografa britannica ripercorre alcune importanti tappe della sua carriera in una intervista rilasciata ai microfoni di ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Cominciamo dal nome: perché ha battezzato la sua protagonista e la sua serie Fleabag? Significa letteralmente sacco di pulci, e ha un che di squallido, di spiacevole.
“Avevo voglia di parlare con franchezza della vita sessuale di una donna, di portare sullo schermo l’esperienza femminile in tutta la sua complessità. Sì, poteva essere rischioso, ma quando affronto un soggetto che dà il brivido del pericolo, mi eccito all’istante. Fleabag usa il suo candore sessuale come fosse un’armatura contro la gente: lo stesso atteggiamento che io – e molti della mia generazione – avevo a 20 anni, ricavandone una sensazione di forza, di potere. Allora non ne vedevo però l’aspetto buffo, ludico”.
Scrivere e interpretare il suo personaggio sul palcoscenico l’ha portata a scoprire se stessa?
“A vent’anni mi sentivo cinica e rabbiosa (ride), ma non riuscivo a esprimere quel senso di malessere; discutevo di femminismo, eppure sotto sotto ero confusa, mi sentivo sessualmente forte, ma ero anche molto insicura. Mi trovavo in continuo conflitto con me stessa, sull’orlo di un precipizio, dove disperazione e cinismo facevano a pugni: e in fondo a quell’abisso c’era Fleabag”.
E poi?
“Ho elevato all’ennesima potenza le mie paure e, affidandole al personaggio, mi sono intestardita a esplorarle; nel farlo, insomma, ho “esorcizzato me stessa”. È un processo che mi ha portata ad articolare certi sentimenti e pensieri. Scrivere di Fleabag, e impersonarla, mi ha veramente aiutato come donna”.
Phoebe Waller-Bridge si racconta: “Sono cresciuta negli anni di Sean Connery, ne ero una fan sfegatata”
L’autoaffermazione sessuale al femminile dovrebbe essere un fatto scontato, oggi. Lo è?
“Credo valga sempre la pena di parlarne, perché la verità è degna di riflessione e la verità delle esperienze femminili varia da persona a persona. Può sembrare strano che il piacere della donna sia stato sempre zittito nella nostra cultura – dominata da paure e tabù – ma è vero pure che il mondo dello spettacolo per molto tempo è stato dominato da uomini che non hanno saputo scrivere della sessualità femminile in modo capillare. Abbiamo ora a disposizione nuove piattaforme, spettacoli televisivi più coraggiosi. Penso anche che il pubblico sia interessato a storie vere, autentiche, specialmente su noi donne e i nostri desideri. Il coperchio della pentola a pressione è saltato, e il pubblico mi regala sempre di più perché si identifica coi miei personaggi. E io con loro”.
[…] Ricorda il suo primo Bond da spettattrice?
“Sono cresciuta negli anni di Sean Connery, ne ero una fan sfegatata. Ma mi sono concentrata su uno 007 più recente, quello di Casino Royale, con Daniel, perché lì c’erano cuore e storia: quel personaggio vive in un’area grigia, fa cose terribili ma per ragioni buone e valide. Oggi metteresti in questione quel tipo di patriottismo: vale davvero una vita, o un assassinio? Sono tutte domande che ritengo pertinenti”.
Parliamo della seconda stagione di Fleabag. Non conosco neppure una donna che non sia stata conquistata dal prete sexy impersonato da Andrew Scott.
“Desideravo disperatamente lavorare col mio amico. All’inizio pensavo non fosse una grande idea avviare una conversazione con un sacerdote, mi sembrava troppo estrema, poi però ho pensato a Andrew, alla sua capacità di rendere polivalente, pericoloso e credibile qualsiasi personaggio, così non ho avuto esitazioni”.
Ci sono state reazioni di cattolici scandalizzati?
“Me ne aspettavo di più forti… Di sicuro la serie ha contribuito ad alimentare – almeno in Inghilterra – l’attuale dibattito sul celibato dei sacerdoti. Io spero solo di essere riuscita a fare un ritratto non cinico di un prete complicato, umano e imperfetto, che ha fatto una scelta e mantiene la sua promessa. Era un’idea che mi commuoveva”.
Phoebe Waller-Bridge si racconta: “Sono atea, ma sempre aperta a chi mi può provare la sua fede”
Lei è cattolica?
“Sono atea, ma sempre aperta a chi mi può provare la sua fede. L’idea di un essere umano graniticamente certo di una verità assoluta per me è talmente irrazionale, o impossibile da credere che me la rende subito attraente, irresistibile: ho sempre provato invidia per chi nutre tante certezze”.
Il pubblico femminile si identifica col personaggio di Fleabag. Come reagisce invece nei confronti di Villanelle, l’assassina psicotica di Killing Eve?
“Molte si riconoscono in lei: c’è in tutti noi un pizzico di Villanelle. Basta lasciare andare, liberare via via un po’ di lei, dei suoi gusti e tic per dimostrarlo”.
Per concludere: Fleabag, Killing Eve, James Bond… Tutto questo successo non le dà un po’ alla testa?
“Lo trovo invece rassicurante, l’opposto di ciò che la gente pensa possa succedere. Lavoro come una matta perché tanti progetti si accavallano. Forse, quando potrò finalmente respirare profondo avrò un’idea di ciò che mi sta succedendo… L’istinto per ora mi dice di insistere, di andare avanti. La cosa più bella è che la gente che tu rispetti ha fiducia in te. Devi lottare meno, ed è un gran bel feeling…”.
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