Stefano Sollima su Zero Zero Zero, il regista parla della nuove serie in onda su Sky Atlantic dal prossimo venerdì 14 febbraio
Stefano Sollima: “Zero Zero Zero? In Messico è intervenuta la polizia. Sul romanzo di Saviano…”. A due giorni dal debutto su Sky Atlantic il regista parla della nuova serie Zero Zero Zero, che ha creato e diretto con Gabriel Byrne, Dane Dehaan, Giuseppe De Domenico e Adriano Chiaramida. Si tratta, come nel caso di Gomorra, di un romanzo dello scrittore Roberto Saviano che racconta uno spaccato dei traffici di droga attraverso la rotta Messico-Italia, facendo tappa in Calabria, dove arrivano tonnellate di cocaina. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista rilasciata dal regista ai microfoni de ‘Il Giornale’.
Stavolta segue una nave portacontainer, dal Messico alla Calabria, traversando il mondo. Com’è stata la lavorazione?
«Complicata e a volte pericolosa. A parte la sfida di mantenere continuità di racconto con gli altri registi, Janus Metz e Pablo Trapero, che comunque hanno visioni diverse e, si sa, la diversità è ricchezza. Ma girando a Monterey, in Messico, una scena dove gli attori erano in assetto anti-sommossa, la gente era terrorizzata e la polizia ci ha intimato l’alt, non credendo che stessimo girando un film. Poi, tutto si è chiarito e abbiamo ripreso a lavorare».
Dal libro di Saviano, quali le suggestioni più forti?
«L’elemento di racconto che più m’ha colpito, perché paradigmatico, era quello messicano. Dove un gruppo di militari, addestrati per contrastare il fenomeno del traffico di droga, a un certo punto, stanco di sentirsi carne da macello, privo di mezzi adeguati, crea un proprio cartello della droga. Usando le tipiche tecniche brutali da guerriglia, utili in senso anti-narcos. Compreso lo smembramento del corpo umano».
Nella sigla della serie compare una pistola, avvolta dal rosario e conficcata in Calabria: ricorda una famosa copertina di Der Spiegel, col revolver sul piatto di spaghetti.
«Abbiamo concepito la sigla come un teaser del racconto. Se lo fa Der Spiegel, ci innervosiamo ad essere rappresentati così. Se lo facciamo noi, c’innervosiamo di meno, ma è soltanto un’idea grafica».
Rispetto al libro di Saviano, quali libertà si è preso?
«Del libro di Saviano ho preso soltanto l’idea. Ma non volevo fare un racconto sulla cocaina, bensì sulla globalizzazione. Volevo raccontare la cocaina in quanto merce, nel suo impatto sociale. Abbiamo voluto trarre, da un’inchiesta giornalistica, un’inchiesta parallela. Il mercato, la produzione, i consumi, i modi di vivere e di pensare, tutto è connesso in un mondo globale».
E quale idea s’è fatto di tale flusso continuo?
«C’è stata un’accelerazione di alcuni processi. I paesi che, una volta, erano del Terzo mondo, sono diventati del Primo mondo e lo rimangono. Ora è tutto contemporaneo, nello stesso posto. E più veloce».
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