Checco Zalone da disperato a campione di incassi. Il comico pugliese ripercorre le tappe della sua carriera in una intervista rilasciata a Vanity Fair
Checco Zalone: “Ero disperato, suonavo vestito da Babbo Natale. Io il primo migrante, quando salivo a Milano…”. Il comico pugliese ripercorre le tappe della sua carriera in una intervista rilasciata a Vanity Fair. Ve ne proponiamo alcuni stralci.
Ha provato diverse strade, non tutte andate a buon fine. “Il picco dell’umiliazione fu quando mi chiesero di suonare un pianoforte vestito da Babbo Natale. Comunque lo picchiassi o per quanto lo scuotessi con delicatezza, quel piano scassato non restituiva mai una nota tenue. Io sul palco, senza renne, vestito di rosso e di bianco per 50 euro d’ingaggio e sotto di me il pubblico inferocito che mi chiedeva di fare meno rumore, di non disturbare la festa”.
Per un periodo fece il rappresentante farmaceutico, tra alti e bassi, la depressione e, infine, il concorso in polizia che non andò a buon fine. Anche quando approdò a Zelig la strada non fu semplice. Per andare in trasmissione viaggiava ripetutamente tra Bari e Milano, dormiva a casa di un amico e non aveva in tasca una lira: “Il primo migrante ero io. Un migrante disperato come tutti i migranti”.
Checco Zalone: “Ero disperato, il primo migrante, quando salivo a Milano…”
Il sogno del “posto fisso”. “Ho capito di avere un potenziale quando ho inseguito i miei sogni. C’è stata un’epoca abbastanza buia in cui mi sembrava che non esistesse niente di più importante che avere un’indipendenza economica. Volevo qualche euro in tasca, una macchina tutta mia, un orizzonte sereno. Volevo il posto fisso”.
Nonostante tutto ha continuato a credere nelle sue capacità senza mai mollare. “Le ho provate tutte. E non mi sono arreso. Sono stato fortunato, anzi fortunatissimo perché senza una buonissima dose di culo non vai da nessuna parte, ma quando ho avuto un’occasione ho dimostrato di sapermela meritare. Mi mandavano in onda, funzionavo, facevo ridere”.
Tolo Tolo è il film italiano che ha incassato di più al cinema. Girarlo non è stato semplice e nel corso dell’intervista racconta alcuni retroscena: “C’è un bambino che mi segue nel film, che mi si affeziona, che mi prende un po’ come un secondo padre. Per una questione burocratica non aveva il visto per venire in Italia. Praticamente un’iperbole. Il Kenia non ce lo mandava con Salvini ministro dell’Interno in carica”.
Checco Zalone e gli esordi
Il film ha consacrato anche il suo sodalizio con Pietro Valsecchi, produttore di tutti i suoi lungometraggi. Se non avesse ricevuto la sua chiamata, Zalone avrebbe partecipato al film “Io e Marylin” di Leonardo Pieraccioni e le cose sarebbero andate diversamente.
“Con la sua voce cavernosa a 5 Megahertz, nella mia vita arriva proprio lui, Pietro Valsecchi. Io non sapevo chi fosse. Al telefono capisco soltanto due parole: Cortina e Aereo. Chiamo Gennaro Nunziante e gli dico: ‘Mi ha cercato un certo Valsecchi’. Sento un silenzio dall’altra parte, poi un gorgoglio che somiglia a un’esultanza. ‘Ma sai chi è Valsecchi? Dobbiamo portargli subito una storia’. Così in pochi giorni tiriamo giù il canovaccio di Cado dalle nubi. A Cortina andai. Pietro versava vino e grattugiava tartufo, che detesto, come fossero coriandoli o soldi del Monopoli. Feci finta di niente, stetti male, vomitai fino all’alba e tenni duro. Il resto è una lunga storia”
La comicità è di famiglia. “Zio Nino Aveva – si dice bonariamente – una clamorosa faccia da culo. Si era specializzato in epitaffi e quando in famiglia moriva qualcuno e tutti, più di qualcuno anche in maniera ipocrita, si stracciavano le vesti davanti al feretro, Nino entrava in scena a modo suo. Ti gelava. Diceva delle cose tremende e irripetibili. Indifferente alla bara e al lutto, Nino ribaltava il quadro. Spesso ingiuriava il defunto e io che avevo 10 anni ridevo come un pazzo. Forse il gusto, il senso, direi il dovere di disturbare con una nota dissonante mi è venuto da lì”.
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