Matt Dillon si racconta tra carriera, vita e passioni, una delle quali è l’Italia. Lo rivela in una intervista rilasciata ai microfoni di Vanity Fair
Matt Dillon si racconta: “Amo l’Italia, Sorrentino ha rilanciato il Cinema. Io playboy? Mai stato Mr. Serietà…”. L’attore celebra i quarant’anni della sua carriera con una copertina su Vanity Fair, a cui si è raccontato in una intervista pubblicata dalla nota rivista sul numero in edicola da oggi, mercoledì 8 gennaio. Dillon, il cui primo film, Giovani guerrieri, uscì negli Stati Uniti e in Europa a cavallo tra il 1979 e il 1980, parla a cuore aperto di carriera, vita e passioni, una delle quali è l’Italia.
L’attore confessa di venire spesso dalle nostre parti con la compagna italiana Roberta Mastromichele. «Quando sono venuto in Italia la prima volta per promuovere Rusty il selvaggio, fu un incontro magico con il vostro cinema. Volevo lavorare con Antonioni e lo incontrai. Era un momento molto fertile, l’Italia aveva un vero peso internazionale grazie a Bertolucci e Fellini. Poi c’è stata una pausa e adesso finalmente una rinascita, anche grazie a Garrone e Sorrentino. Qui c’è del vero talento. Leggeranno le mie parole e mi chiederanno di lavorare insieme? Aspetto di essere perseguitato».
Quando e perché è nato questo amore. «Penso che i rapporti qui siano più profondi. Io sono cresciuto con tantissimi italo-americani e l’Italia fa parte delle mie radici. Ho viaggiato in tutto il mondo, ma amo sempre tornare qui. In Italia mi sento a casa».
È cresciuto in una famiglia numerosa di origine irlandese a Mamaroneck, poco fuori da quella New York dove si presentò in ritardo, fradicio di pioggia e con la maglietta strappata dopo aver fatto a botte, al primo provino della sua vita, per Giovani guerrieri di Jonathan Kaplan appunto: aveva 14 anni. La sua fortuna? Essere stato notato dai talent scout del regista nei corridoi della scuola con una gang di bulletti che marinavano le lezioni.
Da piccolo non è stato facile. «Non sono mai stato un bravo studente. Da piccolo ero sempre malato, e quindi ero indietro con il programma. L’insegnante della scuola cattolica mi tirava le orecchie quando non sapevo rispondere, nonostante sapesse benissimo che ero stato fuori per motivi di salute. Io pensavo fosse colpa mia e mi sono chiuso. Non mi sentivo all’altezza», racconta a Vanity Fair.
Matt Dillon si racconta: “Io playboy? Mai stato Mr. Serietà…”
I personaggi dei film che hanno fatto la sua leggenda – da I ragazzi della 56ª Strada e Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola a Drugstore Cowboy e Da morire di Gus Van Sant, da Crash di Paul Haggis a La casa di Jack di Lars Von Trier – sono tutti figli del ragazzino ribelle del suo debutto.
Gli esordi. «Non sono diventato attore perché bramavo la luce del palcoscenico, ma perché ero curioso del mondo e delle persone. Giovani guerrieri portava in dote un grandissimo personaggio, Richie White. Leggevo quei dialoghi e lui saltavo fuori dalla pagina, sentivo di conoscerlo perfettamente», spiega nell’intervista.
Sulle tendenze moderne. «Da allora amo i personaggi con caratteristiche reali. In questa epoca di dominio dello streaming, l’importante è che si continui a lavorare sui personaggi. Oggi tutti sono ossessionati dal plot, si stanno dimenticando dei personaggi. Se non li conosci non puoi raccontare una storia autentica. Se li conosci, saranno loro a guidarti».
Dillon è anche regista (il suo prossimo lavoro: un documentario sul cantante afrocubano Fellove) e pittore. Passione, quest’ultima, ereditata dal padre: «Lui è un pittore, ritrattista, e ha sempre avuto un lato ribelle, era un giovane pieno di rabbia. Ho passato la vita a cercare di distanziarmi da mio padre e ora eccoci qui, mi sto trasformando in lui: un artista sensibile che ha strascichi di ribellione. Abbiamo avuto momenti difficili, ma cerco di non pensarci. La sua strada è stata complessa: sei figli durante la recessione».
Tutti sposati, tranne lui: «Ho 11 nipoti, amo i bambini. Non so come mai, ma non ho avuto figli. Ci penso spesso, potrei ancora, ma il tempo vola». Non ha mai preso troppo sul serio, dice a Vanity Fair, la sua fama di sex symbol: «Non sono mai stato Mr. Serietà, ma il mio fuoco è stato sempre il lavoro. Un po’ di saggezza l’avevo: solo perché le ragazze si erano innamorate di me, non significava che lo sarebbero state per sempre».
Seguici anche su Facebook. Clicca qui per diventare fan della nostra pagina ufficiale
Ultima ora:
Sicari si filmano durante l’omicidio e postano sui social: orrore in Messico – VIDEO
Abbonamenti Stadio con clausole vessatorie: 9 club di Serie A nei guai
Iran attacca Usa: colpite due basi americane. Gli sviluppi
Dove vedere Sheffield Utd-West Ham streaming e tv, 22a giornata Premier League
Aggiungi Commento