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Spettacolo

Checco Zalone: “Non sono razzista neanche verso i salentini. Salvini un parac***. Mi fa arrabbiare una voce”

Checco Zalone razzista? Macché! Il comico pugliese risponde come solo lui sa fare in una intervista ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’

Checco Zalone: “Non sono razzista neanche verso i salentini. Salvini un parac***. Mi fa arrabbiare una voce”. Il comico pugliese risponde come solo lui sa fare in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«Si sono mossi in milioni per difendermi da Heather Parisi, d’ora in poi Hater Parisi, e dal professor Giuliano Cazzola. Grazie a tutti; ma non era il caso».

Insomma, qualche critica è arrivata.
«Purtroppo non si può dire più nulla. Se riproponessi certe imitazioni di dieci anni fa, tipo quella di Giuliano dei Negramaro, mi arresterebbero. Oggi non potrei scherzare come facevo, che so, su Tiziano Ferro, o sugli uominisessuali».

Che non avranno gli assorbenti ma però hanno le ali.
«Per volare via, con la fantasia, da questa loro atroce malattia».

Lei non scherniva gli omosessuali, ma coloro che li scherniscono.
«È evidente; anche se forse non a tutti. L’unica cosa atroce qui è la psicosi del politicamente corretto. C’è sempre qualche comunità, o qualche gruppo di interesse, che si offende».

Hanno detto di lei che è diventato razzista
«Escludo che qualcuno possa essere così stupido da pensarlo davvero. Non sono razzista neanche verso i salentini, che per noi baresi sono i veri terroni. E neppure con i foggiani, anche se molti di loro si sono risentiti per una canzone che ho cantato da Fiorello, La nostalgie de bidet: “Così proprio ogg’ so’ turnuto nella mia Fogg’, la delinquenza la spazzatura la poverté, ma finalment voilà le bidet…”. Ne approfitto per chiedere scusa ai foggiani: lo giuro, non penso che appartengano a una razza inferiore… E chiedo scusa pure ai calabresi: nel nuovo film c’è una battuta terribile su Vibo Valentia».

Altri hanno detto che lei è diventato di sinistra.
«Eh no! Questo è troppo! Qui mi arrabbio davvero».

Sul serio: lei come la pensa?
«Sono del 1977. Ho votato per la prima volta nel 1996: Berlusconi secco. Perse. Per un po’ mi sono astenuto. L’ultima volta ho votato Renzi. E ha perso pure lui».

Come nasce la leggenda del Checco Zalone di destra?
«Eravamo a una festa di paese. Tentavo di provare sul palco, ma da quattro ore un gruppo di comunisti, vestiti da comunisti, andava avanti con la pizzica. A un tratto mi venne spontaneo urlare: “Viva Berlusconi!”. Quel giorno nacque la Taranta de lu Centrudestra».

Che è una satira su Berlusconi e i suoi. L’ha mai conosciuto?
«Sono stato una volta ad Arcore, a cena con lui, il figlio Piersilvio, il mio produttore Pietro Valsecchi, Giampaolo Letta e la mia compagna Mariangela. Era nata nostra figlia Gaia, e per festeggiare bevemmo solo vino di Gaja, il migliore del mondo. Alle dieci di sera Berlusconi si alza sospirando: “Scusate, ma devo andare a scrivere le memorie difensive del processo. Cosa mi tocca, a quasi ottant’anni…”. Un’ora dopo, completamente ubriaco, mi faccio accompagnare al bagno. Ma al ritorno mi perdo nei meandri della villa. Mi oriento ascoltando una voce familiare… entro in una stanza, e trovo Berlusconi con sette donne: la Pascale e le sue amiche. Tutte vestite».

E lui?
«Recitava la parte del prete, che ascolta in confessione i peccati. Mi indignai».

Perché?
«Berlusconi con sette donne, tutte vestite!? E le tradizioni? I valori di una volta?».

Lei nel 2013 disse che non le piaceva Renzi, perché piaceva a tutti. Il problema pare superato.
«Infatti ora a me piace. Anche perché lui mi ha cercato, mi ha intortato… Amo i perdenti. Lei tifa il tennis?».

Sì.
«A me invece del tennis non me ne frega niente. Ma l’altra sera ho visto una partita in cui un tennista veniva massacrato; e ho cominciato a tifare per lui. Allo stesso modo, tifo Renzi. Mi ricorda don Chisciotte».

Le Sardine?
«Non le ho ancora capite. Non mi esprimo. Certo, questo leader con il cerchietto tra i capelli…».

E Salvini?
«Non ho capito neppure lui. So solo che è un grande comunicatore. E un grande paraculo. Ora vedo che sta tentando di diventare un po’ democristiano…».

Il suo nuovo film si chiama Tolo Tolo. Cosa vuol dire?
«Solo solo. È la storia di un italiano scappato in Africa, inseguito dai debiti. Nel Paese scoppia una guerra civile. E lui tenta di rientrare in patria, unico bianco tra i profughi. Incontra una donna. E un bambino: Dudù. “Ti chiami come il cane di Berlusconi!” gli urla».

La criticheranno per questo. Ma è un film che può cambiare il sentimento degli italiani verso i migranti.
«Non cambierà nulla, né ho questa ambizione. Però è stato un’esperienza straordinaria. Abbiamo girato in Kenya, in Marocco, a Malta, dove abbiamo ricreato i campi di detenzione libici. Venti settimane di lavoro durissimo. Ieri era il Data-Day».

È un termine tecnico? Cosa vuol dire?
«Non lo so: me lo sono inventato io. È il giorno in cui devi consegnare il film alla censura; perché esiste ancora la censura. Da quel momento non puoi più cambiare nulla».

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