Renée Zellweger è Judy Garland. L’attrice texana, vincitrice dell’Oscar con ‘Il diario di Bridget Jones’, è di nuovo protagonista, al cinema e in tv
Renée Zellweger è Judy Garland: “Era una donna che non riusciva a far capire al mondo…”. L’attrice texana, vincitrice dell’Oscar con ‘Il diario di Bridget Jones’, è di nuovo protagonista, al cinema e in tv.
Nelle sale il 16 gennaio, infatti, il regista Rupert Goold porta la vita di Judy Garland raccontando la donna dietro il mito. E Renée Zellweger, che nel film veste i panni della attrice, cantante e ballerina statunitense, racconta questa esperienza ai microfoni de ‘Il Giornale’.
Il film in sala però, con Rufus Sewell nei panni del quarto marito di Judy, Sidney Luft, e Gemma-Leah Devereaux in quelli della figlia Liza Minnelli, racconta gli ultimi anni della vita della grande artista americana.
«Molti lo identificano come un periodo tragico, ma per me non è così».
Facile non fu. Si avventurò in cinque matrimoni, ebbe problemi con l’alcool e la droga e morì per overdose da barbiturici, in un bagno di un teatro di Chelsea, a Londra.
«Già. Aveva solo 47 anni ed era in una situazione finanziaria spaventosa. Per un anno la bara sostò in una cripta in un cimitero di New York. Nessuno aveva pagato per la sepoltura. Se ne fece carico solo in seguito la figlia Liza Minnelli. Non conoscevo quel capitolo della sua vita, e i problemi che ebbe nei mesi che precedettero la morte».
Come si è preparata, per questo film?
«Con uno strumento moderno e meraviglioso chiamato internet. Mi sono immersa nella visione dei suoi video, su Youtube, e ho capito il suo straordinario talento e la sua sfortuna: Judy Garland era una donna che non riusciva a far capire al mondo chi veramente fosse».
Nel film Judy dice: «Sono Judy Garland solo un’ora, la sera. Per il resto sono una persona normale, che vuole cose normali. Solo, ho qualche difficoltà a ottenerle». A lei capita mai?
«Non proprio in questi termini. Però, è vero, a volte non è facile identificarsi nell’immagine che il pubblico conosce di te. Ma per un’attrice oggi è diverso. Io poi non lavoro a teatro, ho meno interazione con il pubblico».
Lei aveva già cantato al cinema, nel musical Chicago, e ora ritorna a dimostrare il suo talento vocale.
«Ho provato la stessa paura del palcoscenico che colpisce Judy nel film. Quella fobia era la mia. Infatti il regista ha voluto che cantassi davvero, su un vero palcoscenico, con un vero pubblico. Voleva che fosse palpabile l’autentica relazione fra un artista sul palco e il suo pubblico».
La sua trasformazione fisica nella Garland è incredibile.
«La parrucca scura mi ha aiutata moltissimo. Abbiamo iniziato il processo di trasformazione mettendo protesi e aggiungendo: trucco, rughe. Poi abbiamo tolto, ridotto all’osso, fino a trovare il giusto equilibrio. Una volta, a riprese quasi ultimate, il truccatore ha fatto il suo lavoro e a fine sessione ci siamo accorti che s’era dimenticato di aggiungere le rughe. Non si notava. Allora ho capito quanta fatica mi era costata questa interpretazione. Era dipinta sulla mia faccia».
Hollywood negli anni di Judy Garland non era un posto facile per le donne.
«Non lo era per nessuno, gli Studios avevano in mano i contratti e la vita degli attori. Per le donne era ancora più difficile. E la Garland, che iniziò quando aveva due anni, cantando Jingle Bells, fu una delle vittime».
Ora le cose sono cambiate?
«Sì, siamo in un posto migliore. Certe iniquità di genere non hanno alcun senso per le ragazze di oggi. Per loro è normale pretendere gli stessi diritti, gli stessi mestieri, gli stessi salari degli uomini».
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