Luca Carboni si racconta tra passato e presente. Il cantautore ripercorre alcune tappe della sua carriera in una intervista rilasciata a ‘OFF’
Luca Carboni si racconta: “Sono un viaggiatore alla ricerca di risposte. Quella volta a Berlino…”. Il cantautore si racconta tra passato e presente ripercorrendo alcune tappe della sua carriera in una intervista rilasciata ai microfoni del collega Marco Lomonaco per ‘OFF’, l’inserto de ‘Il Giornale’.
Luca, concorda con chi dice che non ha mai sbagliato un disco in carriera?
«Dipende, il concetto di “sbagliare un disco” è molto relativo. In un periodo così lungo come quello della mia carriera ho venduto di più e di meno, i dischi del resto rappresentano anche le fasi della vita di un artista. Ma per me non sbagliare un disco ha sempre significato fare ciò che si sente dentro, senza compromessi, rimanendo fedeli a se stessi pur sperimentando. Dopodiché, il segreto della longevità artistica è anche l’emozionarsi sempre per quello che si fa. Sono 35 anni che faccio questo e all’uscita di ogni disco mi emoziono come fosse la prima volta».
Chi è Luca Carboni oggi?
«Un viaggiatore alla ricerca di risposte e che ha sempre la stessa voglia di raccontare il viaggio».
Qual è stato il momento in cui ha capito che avrebbe realizzato il sogno musicale?
«Sicuramente quando ho avuto l’opportunità, intorno ai 18 anni, di diventare autore degli Stadio. Diventare cantautore invece è stato un passo naturale, anche se inaspettato, compiuto grazie a Lucio Dalla che, facendomi ascoltare la mia voce, mi ha fatto capire che potevo cantare ciò che scrivevo».
Ci racconti invece della sua carriera artistica parallela.
«Vivo quotidianamente la passione per l’arte, approfondendo le mie visioni attraverso disegno e pittura. Nel 1987-88, periodo del mio terzo disco, è infatti improvvisamente esploso in me questo interesse per l’immagine, venendo poi a coltivarlo sempre di più. Quest’anno, visto che ho disegnato la copertina di Sputnik, ho anche avuto la possibilità di esporre al Lucca Comics una quarantina di miei lavori selezionati tra trent’anni di disegni e dipinti. Mi sono divertito e non escludo di poter fare qualcosa d’altro in futuro».
Ci racconti un episodio OFF della sua carriera.
«Poco prima dell’uscita italiana del mio primo disco, visto che non mi ero mai esibito dal vivo con i nuovi brani, Lucio mi ha invitato ad aprire insieme agli Stadio i concerti del suo tour tedesco. Un giorno avremmo dovuto suonare al di là del Muro, nella Berlino Est. Ricordo di essere rimasto molto colpito dal vedere ragazzi dell’allora blocco sovietico che si scambiavano dischi e gadget americani in gran fermento. Pensa solo che io portavo delle All Star ai piedi e alcuni ragazzi, appena le videro, mi offrirono baratti di ogni genere. Ecco, quel giorno forse ho intravisto l’insostenibile leggerezza dell’essere di cui parlava Milan Kundera».
Se potesse scegliere un momento sul palco da rivivere, quale sarebbe?
«Vorrei citarne due. Il primo è quello in cui ho condiviso il palco con Jovanotti nel tour del ‘92: con lui e i musicisti ho rivissuto l’emozione della band giovanile. A volte infatti sul palco come cantautore mi sento quasi orfano della band di amici con i quali dividere il peso del palco: in quell’occasione ho rivissuto quelle sensazioni. Un altro momento che senza dubbio rivivrei è il concerto di esordio nella mia parrocchia con la prima band. Avevo 14 anni ed era il 1978. Indimenticabile».
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