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Marco Mengoni si racconta: “Sono andato via di casa a 16 anni. Pesavo 105 chili, forse mangiavo per un motivo”

Marco Mengoni si racconta in una lunghissima intervista rilasciata ai microfoni di ‘7’, l’inserto de ‘Il Corriere della Sera’ in edicola il venerdì

Marco Mengoni si racconta: “Sono andato via di casa a 16 anni. Pesavo 105 chili…”. L’artista parla in una lunghissima intervista rilasciata ai microfoni della collega Maria Luisa Agnese per ‘7’, l’inserto de ‘Il Corriere della Sera’ in edicola il venerdì. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Fortunato?
«Sì me lo ripeto sempre. Però è anche vero che quando avevo 16 anni me ne sono andato via da casa ed è iniziato il mio cambiamento, sono andato a cercare altro da quello che non mi dava più il mio paese di 8 mila anime, Ronciglione, anche se è un bellissimo borgo medievale in Alto Lazio, anche se mi ha dato tantissimo e radici forti. Mi sono buttato, ci ho provato e tutti i giorni mi sveglio e penso come sono stato fortunato! Non ho cercato quello che è avvenuto, cercavo di seguire la mia passione, non la fama».

Non è rimasto a vivere dai suoi.
«Sentivo che dovevo andare. Un giorno ho detto a mio padre e mia madre: voglio andare via. Mamma, mamma italica doc, si è messa a piangere, papà ha detto: “Se passi da quella porta devi mantenerti, io non ti darò niente”. Adesso lo ringrazio. Vivevo in una casa umile, al Tuscolano, pagavo mi pare 250 euro. Facevo il fonico in uno studio registrando pubblicità, e facevo il barista in un pub a Frascati. Già al paese lavoravo, a 14 anni facevo il cameriere, i turni d’estate; ero un solitario, lo facevo per combattere la timidezza».

Gli insegnamenti del padre.
«Mio padre mi ha insegnato a faticare e poi io sono de coccio, Capricorno ascendente Vergine: ho vissuto la prima parte della vita più testardo, come il Capricorno, ora sono più preciso, Vergine. Sono stati anni di fatica, ma ho imparato come fare la spesa, come arrivare a fine mese. Ancora oggi faccio quasi tutto io, in casa, e metto a posto prima che arrivi la signora che viene per le pulizie».

Gavetta dunque ci fu, anche se lampo, non lunga come quella dei cantanti indie…
«Ma mi pare che Calcutta abbia la mia età. Non credo che conti un anno in più o in meno di gavetta. Conta cosa una persona pensa di fare della propria vita. E poi questa cosa indie mi fa strano, è la ghettizzazione di una cosa libera come la musica. Indipendenti o non indipendenti, non importa se parti da un’etichetta piccola o meno: De André, Dalla, Battisti che cosa erano?».

[…] Con i limoni sul suo terrazzo non è andata proprio così […]
«Si, ho preso una pianta di limoni, e per proteggerla, l’ho messa dentro casa; poi mi hanno detto che non si fa, che i limoni devono stare fuori… ma ora splendono di nuovo».

Prima ha parlato di psicanalisi.
«Sì, perché non dedicarsi un’ora a settimana a giocare con i propri pensieri, le paure, le immagini? Insieme a un’altra persona che può tirare fuori, è un aiuto, uno sport mentale, una disciplina, un’ora di lezione».

Ops, lapsus… sarebbe un’ora di terapia. Lei a 16/17 anni era un altro Marco, con chili in più, che adorava la Nutella…
«Sono arrivato a pesare 105 chili, forse mangiavo per combattere l’insicurezza, sì anche la Nutella… poi quasi naturalmente, forse per un cambiamento ormonale, sono arrivato a 62, ho perso quasi 40 chili. Ora sono 83».

In quale immagine si ritrova di più, nel Marco di oggi o nell’adolescente?
«Mi vedo come con i chili in più, mi è di aiuto, mi porta a fare sempre di più, sempre meglio, a non mollare la guardia mai, a non tornare là. È una fase della mia vita che mi porto dietro e con la quale combatto meglio il mostro che non c’è più. Se voglio una cosa la raggiungo con tutti i mezzi possibili».

Come per tutti quel periodo non è stato facile. È stato anche vittima di bullismo?
«No, semmai io il bullismo me lo facevo da solo, io con me stesso. Mi privavo di tutto, di uscire, di mettere gli occhiali da sole; sempre stato un lupo solitario, poco sociale: molto forte la parte animale ma quella sociale meno, mi vergognavo a fare tutto, anche a mettere una maglietta».

E gli occhiali?
«Pensavo: poi mi guardano. Ora chiamo il taxi e prenoto al ristorante, sono migliorato! Ma all’inizio quel che mi ha aiutato molto è stato lavorare fuori 24 ore a contatto con il pubblico. Fare il cameriere è stata la prima forzatura».

E poi?
«Mi sono messo in situazioni scomode, come viaggiare da solo: prima dell’ultimo album Atlantico sono partito da solo con il mio zaino, certe volte ho anche avuto paura, facendo l’autostop a Cuba un signore che mi aveva dato un passaggio imbrocca una stradina, entra in un cancello, mi sono detto è finita, chiamo la Farnesina, ma in realtà poi quel signore era veramente alla ricerca di benzina (di contrabbando!) ed è ripartito».

In questi dieci anni Mengoni è stato anche chiamato da Lucio Dalla che, colpito dalla sua voce, ha voluto incidere con lei la meravigliosa ballata Mary Louise .
«Tutto è iniziato con una terribile gaffe da parte mia. Mi chiama questo numero sconosciuto, alla prima non ho risposto, alla seconda uno mi dice sono Lucio e io dico Lucio chi? e ho riattaccato. Poi mi hanno chiarito che mi cercava davvero Dalla e non mi trovava, e sono andato a Bologna in questa casa bellissima e parliamo, parliamo, e io friggevo perché erano venute le sette di sera e alle nove avevo il treno. Abbiamo registrato in mezzora. Oggi l’avrei fatta diversa, forse meglio, ero giovane. Ma mi spiace che i 12enni di oggi non avranno modelli di riferimento come Dalla, De André, Gaber ma anche Lauzi, Endrigo… Non sanno chi è Michael Jackson! Meglio o peggio non so, mi dispiace per loro perché non gli insegnano ad ascoltare questi capolavori, molti di loro dovrebbero essere nei libri di scuola».

Lei è nato a X Factor , ma oggi non lo segue neppure in tv?
«Non guardo la tv: in salone ho lo schermo, ma la tengo bassa inchiodata su tre canali, mi fa compagnia quando dipingo, ma non voglio distrazioni».

Dipinge anche?
«Ho fatto l’istituto d’arte e mi piace, mi appassiona vedere le cose prendere forma. La pittura a olio mi permette di non chiudere mai un quadro, perché non asciuga, lo posso riprendere dopo un mese o un anno, dipende dal diluente».

Marco Mengoni si racconta

La canzone invece va chiusa…
«La verità è che ho un problema con gli abbandoni, come ho un problema con il sonno, di abbandonarmi all’inconscio. Anche a scuola non finivo mai, avevo tante idee, ero carico ma poi non volevo finire e il professore mi diceva: chiudi, Marco! Ma anche nella musica si può riaprire tutto. Anche ora che riparto con il tour mi sono permesso di fare cambi assurdi in alcuni pezzi. Mille lire è nato digitale ed è tornato a essere acustico, quasi rhythm and blues».

Lei è un esempio raro di trentenne non attaccato al cellulare…
«Fa parte della mia vita, ma lo uso, non lo subisco: è un più».

Sulla scala che va dall’analogico al digitale lei dove si piazza?
«Io mi sento nel mezzo; e voglio rimanere lì, in equilibrio».

Per un trentenne privilegiato come lei, niente vita agra?
«In un certo senso vale anche per me. La società va veloce e non esiste più quella consacrazione lì dei nostri punti di riferimento, alla Dalla o alla De André. Devi metterti alla prova di continuo. Non è detto che il mio prossimo disco vada bene. Chi nasce oggi, o è nato da un po’, la sente da subito l’instabilità, non voglio usare la parola precarietà. Ma questa instabilità, dovuta a un’evoluzione che coinvolge tutta la società, la senti. Niente ora è in equilibrio. Sono nato con le cassette, durate poco, poi sono venuti i cd, poi il digitale e poi chissà».

Tra due trentenni come lei, Chiara Ferragni e Luigi Di Maio, chi sceglie?
«Loro sono più forti di me nella comunicazione, troppo forti nell’autocomunicarsi».

Dunque?
«Ferragni».

La conosce?
«No».

La vuol conoscere?
«Non c’è mai stata l’occasione ma se capitasse le farei tanti complimenti. Lode a una giovane che si interessa di queste cose, mi genufletto: io non ci sarei mai arrivato con la dedizione alla tecnologia che mi contraddistingue. Un genio, la Ferragni».

Quindi assolve il fenomeno influencer?
«Mi sento vecchio, più che 30 anni ne sento 50, e quando ragiono su questo fenomeno, capisco di essere controcorrente. Capisco tutto, capisco mia cugina più piccola che segue queste persone che influenzano superficialmente — con trucchi, parrucchi, abiti — ma in altri casi si spingono oltre. Condizionano le persone in modo più profondo, acquisiscono un gran potere. Io vado in punta di piedi, per paura di condizionare gli altri. È molto più debole la sensibilità reattiva, diciamo la capacità critica che c’è dietro uno schermo, ed è troppo facile tutto oggi, anche distruggere le persone. Io sono sicuro che, se si dovesse pagare per un commento, la gente ci penserebbe di più».

È una proposta?
«Diciamo una proposta di riflessione. Io ho 30 anni e mi sono aiutato, analizzato, fatto analizzare, fatto gavetta più o meno lunga, ai like e dislike sono vaccinato. Per questo la mia vita privata sui social non mi va di mettercela, se è privata non mi va di mettere in mezzo persone che non c’entrano con la mia fama. Io faccio questo mestiere e io devo essere fucilato in piazza, ma non voglio che i miei cari siano massacrati. Ci tengo a proteggere le piante, figurarci le persone che mi stanno accanto!».

Torniamo alla generazione precaria e post ideologica e ai punti di riferimento che non ci sono.
«È la società che si è posizionata nel mezzo del nulla. Mi sembra tutto coerente nell’incoerenza. Dalle idee nette, dai punti di riferimento siamo passati alle tante possibilità, per cui si può far tutto e forse non si può far niente. Siamo in una nuvola che ci sta traghettando in un pianeta di concretezza, che speriamo arriverà. C’è transizione su tutto. Non dico che sia negativo in assoluto, l’evoluzione per andare avanti ha bisogno di periodi di stallo. E come se noi stessimo guardando il blocco di marmo della Pietà: prima o poi costruiremo un braccio definito, apparirà il panneggio michelangiolesco. Ci avviciniamo, spero che sarà più o meno così».

Però c’è molta fluidità, anche di genere
«Noi qui siamo messi meglio di chi ci ha preceduto, la mia generazione è più aperta in tutti i sensi e mi dispiace per le persone che ci governano non si aprano alla natura. Io sono un 30enne antico, ma anche oltre, avanti anni luce. Sono aperto a tutto, sarò l’ultimo naif ma non vedo barriere, confini, per me la Terra non è di nessuno. Non contemplo paletti e muri, non mi accorgo della tonalità della carnagione o della scelta di amare un uomo o una donna. Ma la mia vita privata è mia, se ti va di sentire la mia gioia, il mio dolore, ti senti i miei dischi. Io voglio vivere questa vita il meglio possibile, purtroppo noi trentenni, anch’io, abbiamo difficoltà a viverla, con questo tempo che corre troppo veloce. L’unico consiglio che do ai ragazzi come me è: vivete. Domani può succedere tutto».

Fino a quando le piacerebbe vivere?
«Il più a lungo possibile per vedere come va a finire».

Fino a quando?
«Facciamo 180 anni».

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