Il racconto shock di una neomamma che ammette di aver fatto uso di sostanze stupefacenti fino al giorno del parto, quando il figlio è nato in astinenza
Il racconto shock di una neomamma: “Ho fumato coca fino al giorno del parto, ma oggi lottiamo”. Angela ammette di aver fatto uso di sostanze stupefacenti fino al giorno del parto, quando il figlio è nato in astinenza. A riportare la notizia, con un’intervista esclusiva alla donna, è l’edizione cartacea de ‘La Repubblica’ in edicola.
Angela ha quarant’anni e più di venti li ha passati sotto l’effetto di ogni tipo di droga. Cocaina, eroina, hashish, pasticche. Suo figlio Leo, (i nomi sono di fantasia), è uno dei tanti bambini nati positivi alle sostanze e costretti ad affrontare l’astinenza in culla. Inquietante segnale dell’ overdose di consumo di droghe che dilaga in ogni angolo d’ Italia.
Da pochi mesi Angela ha terminato il suo percorso dentro “Casa mimosa”, comunità di recupero per mamme tossicodipendenti della “Fondazione Ceis” di Modena. Una casa affacciata sulla campagna che ospita insieme le donne in disintossicazione e i loro bambini.
«È per questo che si vince perché ci sono loro, i figli. Leo mi ha dato la forza di uscire dalla tossicodipendenza. Ma il senso di colpa di averlo fatto nascere quando ancora mi drogavo, non mi abbandonerà mai. Era minuscolo e in crisi di astinenza. Con lui sono entrata in comunità e per tre anni ho lottato: volevo guarire, non volevo perderlo. Adesso viviamo da soli, si chiama percorso di “reinserimento”. Ogni giorno è una sfida, ma noi siamo qui, forti e testardi».
Angela, cosa ricorda del giorno in cui è nato Leo?
«Ricordo di aver fumato cocaina fino a poche ore prima del parto. E Leo è nato in macchina, mentre suo padre mi portava di corsa all’ ospedale. Sano, per fortuna, anche se in astinenza, purtroppo».
Lei sapeva che il bimbo avrebbe potuto avere dei problemi?
«Sì, me lo immaginavo, infatti durante la gravidanza ogni tanto provavo a smettere. Ma durava poco. La “roba” mi mancava fisicamente. L’infermiera mi disse che Leo stava male, si agitava, piangeva. Pensavo che esagerasse, ero arrogante».
Però lei questo bambino l’aveva voluto.
«Con tutte le mie forze, anche se il mio compagno mi chiedeva di abortire. Infatti dopo il parto ci ha abbandonati. Ma forse sentivo che Leo sarebbe stato la mia salvezza».
Appena nato lei si è trovata di fronte a un bivio.
«Ero tossicodipendente, seguita dal Sert, mamma single e per tutta la gravidanza avevo continuato a drogarmi. Quanto bastava perché Leo mi fosse tolto».
Invece?
«I servizi per i minori mi dissero che o mi curavo o Leo sarebbe andato in affido. Stavo male, mi mancava la droga, ma soltanto vedere la sua culla nella nursery mi dava speranza. Ho odiato i servizi sociali in quel momento, ma oggi li ringrazio. Mi hanno fatto entrare in comunità, a “Casa mimosa”, dove ci sono tante ragazze come me con i loro figli. Lì è iniziata la mia rinascita».
È stata dura?
«Terribile, il primo anno. Nessun contatto con l’ esterno, niente visite, il pensiero ossessivo della droga. Odiavo tutti, tranne Leo. Ma sapevo che se avessi fallito l’avrei perso. E stavo imparando a fare la madre».
Com’è Leo?
«Forte e sensibile. In comunità è cresciuto bene, seguito dagli operatori, dagli psicologi, anzi un po’ gli manca quella vita collettiva».
Ora abitate da soli.
«È la seconda fase del percorso, il reinserimento. Siamo usciti da “Casa Mimosa”, viviamo in un alloggio della comunità, ho un lavoro part time e poi mi occupo di Leo. La spesa, l’ asilo, gli amichetti. Continuando il programma con gli operatori di “Casa mimosa”».
Difficile tornare alla vita normale?
«Quando ti sei drogata per metà della vita quel desiderio non ti abbandona più. Io mi definisco una tossica che non usa sostanze. Combatterò sempre. Ma c’ è Leo: mi abbraccia, ride, vuole giocare, ridere. Mi chiede di esistere, non posso mollare. Se cado, Leo va in affido».
Com’ era cominciata?
«A diciassette anni, come per tanti, per provare e trasgredire. Poi sono andata via di casa, ho iniziato a fare lap-dance nei locali notturni, mi piaceva avere soldi. Spacciavo, anche. Vent’ anni così, con la “roba” in testa, ogni tanto smettevo, ma sempre da sola, troppo arrogante per chiedere aiuto. E senza droga non avevo nemmeno la forza per alzarmi dal letto. Così ricominciavo».
Adesso?
«Sto imparando a volermi bene. A chiedere aiuto se ne ho bisogno. A gioire di una vita normale. Sono grata a chi mi ha permesso di guarire insieme a Leo. E a Leo per essere venuto al mondo».
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