Fabio Concato: “Pino Daniele? Abbiamo fatto una cosa insieme”. Il cantautore si racconta rivelando alcuni retroscena da Pierluigi Diaco, a ‘Io e te di notte’
Fabio Concato: “Pino Daniele? Abbiamo fatto una cosa insieme”. Ospite a ‘Io e te di notte’, trasmissione condotta da Pierluigi Diaco, il cantautore si racconta rivelando alcuni retroscena
La forza delle tue canzoni, dei tuoi testi sta anche molto nella forza della tua voce, tu hai una voce rassicurante… È un dono incredibile
“Sì anche se parlando con dei tuoi collaboratori un paio di loro mi hanno detto: sei bravissimo però io non ti posso ascoltare perché piango tutte le volte”
Ti hanno detto questo? Volevano dire che si commuovono…
“Sì la commozione, per carità nel senso positivo. Però mi ha fatto un po’ effetto, anche se la musica serve anche a quello. Deve emozionare fino al punto di… Però da lì a non ascoltarmi per evitare di commuoversi…”.
A differenza di molti tuoi colleghi una cosa che apprezzo tantissimo di te è che raramente rilasci interviste, non sei uno sgomitante, sei uno che fa il suo, che si sottrae che va in giro per l’Italia a fare concerti.
“Sì posso dire che a volte faccio meno del mio. Sono talmente schivo che poi si paga pegno come ben sai. Va bene la riservatezza ma qualcuno mi chiede quando mi vede in giro: “fai ancora questo mestiere?” che però è giusto perché siccome ormai è vero soltanto quello che passa in televisione se non ti vedono in tv sono autorizzati a pensare che tu abbia cambiato mestiere. Ma non lo dico polemicamente, è esattamente così. In questi anni è così”.
Quanto sono importanti le parole in un momento storico come questo, dove tutto viene consumato velocemente senza dare valore né alle cose né alle persone?
“Spesso vengono usate anche a sproposito, dovremmo stare attenti a quello che diciamo a quello che raccontiamo. Mi sembra che non sia così ultimamente. Comunque dipende dalle circostanze ci sono delle situazioni in cui uno riesce ad esprimere esattamente il proprio stato d’animo, ci sono situazioni in cui non si riesce, si riesce solo in parte… Sono anni molto duri se posso dire, almeno dal mio punto di vista. Questo non significa che io sia un pessimista, sono un realista. Non trovo che sia sufficiente dire: “facciamo pensieri positivi perché poi avvenga nella nostra realtà”. Non dobbiamo soltanto pensare positivo dobbiamo agire, dobbiamo fare qualche cosa se no “ciccia”…”.
La positività di cui stai parlando quando eri piccino, ti faccio vedere una foto con tua mamma Giorgina, ti attraversava, eri un bambino disincanto?
“No no assolutamente. Ero disincantato proprio per niente, non lo sono neanche adesso se posso essere sincero. Un bambino non timido ma molto riflessivo anche fin troppo probabilmente, lo sono ancora… Poi io soffro di empatia patologica nei confronti delle altre persone e questa non è una cosa necessariamente positiva, può essere un limite. Cioè io mi metto molto nei panni degli altri al punto che… Che poi quasi quasi sto male come quell’altro”.
Questo però per il mestiere che fai penso sia un fatto positivo
“Si dovrebbe essere una caratteristica che ci contraddistingue, anche se poi non è sempre così. Ma anche lì è un fatto di misura: quanto sei empatico, quanto ti metti nei panni degli altri? Perché può anche essere non dico pericoloso ma doloroso, doloroso sicuro… Doloroso senz’altro”.
Poche persone che fanno il tuo mestiere hanno dedicato in maniera così sentita un brano al proprio papà. Tu l’hai fatto con papà Luigi detto Gigi. Un rapporto immagino molto speciale perché tu hai respirato musica in casa grazie al papà, grazie alla mamma, grazie ai nonni, alla famiglia intera
“Sì anche se poi mio padre faceva tutt’altro, faceva il rappresentante per cui… Però era un grande talento musicale e amava molto la musica e quindi ne ascoltavamo tantissima. Per fortuna alla famiglia piaceva ciò che lui ascoltava tranne in occasioni stranissime in cui non so metteva delle cose di Coltrane che noi non eravamo in grado neanche di ascoltare, non di discutere ma di ascoltare. Però ascoltava musica jazz abbordabile e molta musica brasiliana che a noi piaceva molto in famiglia. Quindi lui facendo il rappresentante era spesso via ma quando tornava se ne accorgeva tutto il condominio perché cominciava a smanettare con i registratori cominciava a suonare la chitarra la fisarmonica. C’era un casino magnifico a casa mia”.
Qual è lo stato di salute del tuo rapporto con la malinconia, oggi.
“Sai non è facilissimo risponderti perché io sono nato malinconico. Davvero. È vero adesso probabilmente la musica mi ha esasperato questo aspetto della mia sensibilità, però io ricordo che ero piccolino e già da piccolino avevo nostalgia e malinconia di qualcosa che mi era accaduto prima. Non vorrei trasformare questa cosa in una seduta analitica però credo che abbia a che vedere con questa empatia di cui ti parlavo prima…”.
È un modo molto cristiano… Al netto del fatto che uno possa avere fede o meno. Questa cosa di essere contagiati dal mondo degli altri.
“Sì beh puo’essere cristiano può essere marxista, dipende dai punti di vista… Però comunque in ogni caso positivo penso io. Riuscire a mettersi nei panni di qualcuno che sta meno bene di noi…”.
Com’è nata “E ti ricordo ancora”?
“E’ tanto per cambiare un ricordo di prima o seconda elementare in cui ad un certo punto io avevo familiarizzato molto con un compagno di classe, che poi è una cosa che accade spessissimo…lui mi ha fatto una carezza o gliel’ho fatta io… Anche se poi naturalmente quando è uscita la canzone è stata subito scambiata per un’altra cosa che a me andava benissimo, mi va benissimo anche adesso, di più di allora… Però in realtà si trattava di una carezza di un compagno di classe di prima elementare. È una cosa che accade assolutamente non so come dire… Poi ad un certo punto sono stato quasi in difficoltà perché invece sembrava che avessi fatto questa cosa per difendere… Questo mi ha procurato anche degli imbarazzi ma non perché la gente pensasse che io… Non era quello il problema, il problema è stato far capire che invece era un’altra cosa diversa da quella. Fu quello il paradosso.
Sono contento che hai avuto l’occasione di spiegarlo anche perché il racconto che hai fatto è molto tenero…
“Però non è un grande problema nel senso che uno se la vive come gli pare…”
A quel punto Diaco fa ascoltare a Concato solo la voce di Pino Daniele, e chiede “Pino che ha scritto una canzone per te…”
“Sì abbiamo fatto una cosa insieme, erano anni che pensavamo di farla e alla fine ce l’abbiamo fatta nel ’92. Mi ha scritto un testo in napoletano, quindi in dialetto su una canzone, su una mia musica: Canzone di Laura. Lui è stato molto paziente, mi ha anche seguito un po’ per la dizione perché io sono un milanese quasi autentico per cui… E il napoletano tu sai bene è una lingua. Quando alla fine gli ho detto: “Pino è una schifezza questa cosa?” ha detto: “No no, va bene… Può andare”. Io ho solo un grande rimpianto, di non averlo frequentato di più Pino. Ci sono state poche occasioni, ci siamo visti e ci siamo fatti delle grandissime risate, un uomo micidiale di un’ironia spaventosa, tagliente. Le occasioni per fare musica, per scambiarci delle cose a livello nostro professionale sono state davvero molto poche. Questa cosa mi dispiace molto però sarà per la prossima volta…”.
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