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Cronaca

Giovanni Brusca può uscire dal carcere: azionò il telecomando che uccise Falcone

Giovanni Brusca può uscire dal carcere. Il killer della mafia che azionò il telecomando che uccise Falcone, Morvillo e la scorta chiede i domiciliari

Giovanni Brusca può uscire dal carcere. L’ uomo che fece sequestrare e poi sciogliere nell’ acido il figlio del pentito Santo Di Matteo, divenuto a sua volta collaboratore di giustizia dopo la cattura nel 1996, chiede gli arresti domiciliari. E, stando a quanto si apprende, anche la Procura nazionale antimafia è favorevole alla concessione dei domiciliari dopo ventitré anni di carcere.

Per questo motivo, il killer di Capaci prova a ribaltare l’ ennesimo rifiuto che si è visto ricevere dal tribunale di sorveglianza nell’ appello rivolto alla Corte di cassazione. La prima sezione penale si riunirà oggi per decidere sul ricorso presentato dall’ avvocato Antonella Cassandro, che con il collega Manfredo Fiormonti assiste l’ ex boss mafioso. A raccontare nei dettagli l’ intera vicenda, è ‘Il Corriere della Sera’.

Brusca può uscire dal carcere, come riporta CorSera, “il legale contesta che nell’ultimo rifiuto del marzo scorso, il nono dal 2002, il tribunale di sorveglianza di Roma non ha tenuto nella giusta considerazione le valutazioni del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, che dopo i precedenti no ha detto sì all’ ipotesi che il pentito sia detenuto a casa.

Assenso motivato dal fatto che «il contributo offerto da Brusca Giovanni nel corso degli anni è stato attentamente vagliato e ripetutamente ritenuto attendibile da diversi organi giurisdizionali, sia sotto il profilo della credibilità soggettiva del collaboratore, sia sotto il profilo della attendibilità oggettiva delle singole dichiarazioni».

E poi perché «sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento del Brusca»: le sentenze che hanno riconosciuto «la centralità e rilevanza del contributo dichiarativo del collaboratore», e «le relazioni e i pareri sul comportamento di Brusca in ambito carcerario e nel corso della fruizione dei precedenti permessi».

Il mafioso che a Capaci azionò la leva per far esplodere la bomba che uccise Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, ha già usufruito di oltre ottanta permessi premio.

Ogni volta esce di prigione per vari giorni e resta libero 11 ore al giorno (la sera deve rientrare a casa), solitamente trascorse con il figlio oggi ventottenne. Dando prova della «affidabilità esterna» certificata dagli operatori del carcere romano di Rebibbia, che aggiungono: «L’interessato non si è mai sottratto ai colloqui e partecipa al dialogo con la psicologa, mostrando la volontà di dimostrare il suo cambiamento».

Ma il tribunale di sorveglianza ha continuato a negare la detenzione domiciliare. Ritenendo che per un mafioso del suo calibro, dalla «storia criminale unica e senza precedenti», responsabile di «più di cento delitti commessi con le modalità più cruente», che in virtù della collaborazione è stato condannato a 30 anni di prigione anziché all’ ergastolo (che sarebbe stato ostativo a benefici o misure alternative), il «ravvedimento» dev’ essere qualcosa che va oltre «l’ aspetto esteriore della condotta».

Non basta comportarsi bene, insomma; ci vuole «un mutamento profondo e sensibile della personalità del soggetto»; una sorta di «pentimento civile» che vada oltre le dichiarazioni rilasciate davanti ai magistrati. Anche attraverso un «riscatto morale nei riguardi dei familiari delle vittime» che non sarebbe mai avvenuto.

In passato Brusca ha incontrato Rita Borsellino, la sorella di Paolo morta nel 2018, su iniziativa della donna: circostanza che «non dimostra che vi sia stata una richiesta di perdono alla signora né ai discendenti di Paolo Borsellino o ai familiari delle altre vittime dei delitti commessi, e neppure al dottor Pietro Grasso», l’ex magistrato che il pentito voleva far saltare in aria nell’ estate del ’92.

La difesa di Brusca ribatte che l’ex boss mafioso ha più volte chiesto pubblicamente perdono alle vittime, e di poter effettuare attività di volontariato durante i permessi in segno di concreto ravvedimento, ma «non gli è stato concesso per motivi di sicurezza». Di qui il ricorso in Cassazione, contestando la pretesa di «un ravvedimento ad personam modellato sulla figura del Brusca». Che in ogni caso, a 62 anni di età, è ormai arrivato in vista del traguardo del fine pena: calcolando i tre mesi sottratti per ogni anno di detenzione scontato, la scadenza dei trent’ anni dovrebbe arrivare a novembre 2021″.

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