Morto e poi resuscitato dopo 43 minuti, parlano i medici dell’ospedale San Raffaele che si sono occupati di Michael che nel 2015 era annegato nel Naviglio Grande a Cuggiono
Morto e poi resuscitato. Nel 2015, Michael, oggi diciottenne, si tuffa con gli amici nel Naviglio Grande a Cuggiono, alle porte di Milano, ma un mulinello lo strascina sul fondo dove resta per 43 minuti prima che i sommozzatori dei vigili del fuoco riescano a riportarlo a galla. Clinicamente morto.
‘Solo’ clinicamente però, perché Michael «neurologicamente è intatto», un dettaglio di non poco conto. È la storia raccontata sul numero di 7 in edicola con ‘Il Corriere della Sera’. Michael ha passato quarantatré minuti sott’ acqua alla temperatura di 15 gradi. Ma è sopravvissuto, una sopravvivenza estremamente rara.
Cosa pensa, come vive, com’ è riuscito a rimettere sui binari giusti la propria esistenza Michael, dopo un’ esperienza di questa intensità? Il ragazzo si racconta: quei 43 minuti di buio, l’ idea che si è fatto della morte, «ci sono passato, so di cosa parlo», la famiglia, gli amici, la gamba amputata durante il ricovero, i suoi ricordi dei 13 giorni nell’ ospedale in cui è entrato morto ed è stato «resuscitato».
Resuscitato, sì. Resurrezione (o resuscitazione) è diventata parola del linguaggio medico, «si dice di quei pazienti che tornano alla vita dopo un arresto cardiaco prolungato che non risponde alle manovre di rianimazione convenzionali. In un’ epoca precedente questo corrispondeva alla morte: non esisteva uno step successivo», spiegano i medici del San Raffaele che si sono occupati di Michael.
Oggi sì. Oggi esiste una «scienza della resurrezione» e una «macchina della resurrezione»: è quella che ha riportato in vita Michael. La storia del ragazzo si fonde così con un reportage dentro la Rianimazione cardiovascolare del San Raffaele, dove l’impossibile, il riportare alla vita i morti, diventa possibile. Con quali limiti? È «democratica» la scienza della resurrezione? E quanto potrà evolvere ancora? I medici rispondono. Michael invece confessa, a quattro anni dall’ annegamento, di essere ancora «pieno di domande».
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