Massacro di Bronte: cittadini massacrati dall’esercito garibaldino in nome dell’Italia unita
Massacro di Bronte: cittadini massacrati dall’esercito garibaldino il 10 agosto 1860. Tutti sanno che il 17 marzo 1861 quello che era il Regno delle due Sicilie fu annesso al resto della Penisola per creare l’Italia unita. Non tutti però sanno come è stata unificata la Nazione e, soprattutto, i crimini di guerra commessi contro le popolazioni del Sud. In questa rubrica ve lo racconteremo, nel corso dei mesi a seguire, a partire da Bronte, un Comune della Sicilia oggi famoso per i pistacchi, ma che il 10 Agosto 1860, fu scenario di una vera e propria strage.
Erano anni caldi per l’unificazione dell’Italia ed in quel periodo non mancarono rappresaglie e massacri da parte dell’esercito sabaudo. Uno dei più efferati e mai dimenticati è, appunto, il massacro di Bronte.
Ci furono diverse insurrezioni da parte dei cittadini di Bronte contro le borghesie locali e le figure istituzionali appena insediate. L’esercito garibaldino, comandato da Nino Bixio, per sedare il malcontento popolare decise di usare le armi.
Furono arrestati e processati diversi cittadini con la conseguente condanna a morte. Alcune fonti parlano di 5 brontesi fucilati, altre di un centinaio, altre con i nomi di 16 trucidati a seguito.
La scintilla scoppiò giorni prima; dopo lo sbarco a Marsala, dei 1000 garibaldini, formati per lo più da galeotti. Bronte si divise in due fazioni: una parte era in difesa dell’avv. Nicolò Lombardo e degli interessi del Comune, al fine di ottenere qualche appezzamento terriero, e l’altra fazione era formata dai Ducali o “Civili” amici del Duca Nelson che proteggeva gli interessi della borghesia, dei proprietari terrieri, dei notai e del clero.
Lo storico Radice scrisse: “Tramavansi e macchinavansi a vicenda sin dal 1848 atroci calunnie, onde alcuni dei comunisti patirono il carcere. Si calunniavano a vicenda, e nel loro disaccordo, brontolavano i contadini.”.
Con il decreto del 2 giugno, Garibaldi aveva promesso la divisione dei terreni. Dopo aver sciolto tutti i consigli civici, escluse da tutti i consigli tutti coloro che erano a favore della dinastia borbonica, all’epoca regnante delle due Sicilie. Radice scrive ancora: “Angosciata dai vecchi ricordi ed esasperata ancor di più, al momento, dalla mancata applicazione dei decreti dittatoriali garibaldini rimasti lettera morta assieme ad altre provvidenze promesse”.
Anche Verga raccontò di questo triste e drammatico episodio nelle sue Novelle rusticane e lo stesso fece Carlo Levi ne “Le parole sono pietre”. Fu uno strappo alla dignità e all’umanità dei siciliani. Verso la fine del mese di Giugno, dopo le elezioni e dopo la sconfitta di Lombardo, venne eletto Sebastiano De Luca, e il Barone Vincenzo Meli come Presidente del Consiglio.
Radice inoltre aggiunge: “Questa sconfitta crucciò ed esasperò i proletari, dei quali crebbe viepiù l’esasperazione, quando invece del Lombardo venne eletto a giudice l’avv. Cesare, il quale, allargatasi la lotta nei partiti, in quell’aspro cozzare, fu non piccola causa del tragico tumulto”.
Il malcontento della gente cresceva ogni giorno, soprattutto perché le promesse di Garibaldi risultarono fasulle subito dopo l’insediamento del nuovo consiglio. I contadini insorsero già i primi di agosto fino ad arrivare al momento in cui si fronteggiarono contro l’armata di Nino Bixio.
Durante la fucilazione, si racconta che Fraiunco, fu l’unico ad uscire indenne dai proiettili e che si gettò ai piedi del Comandante chiedendo di risparmiargli la vita. Ma Bixio era un folle, un guerrafondaio, un uomo spietato e Fraiunco si ritrovò a terra con una pallottola in testa. Egli morì con la sola colpa di aver suonato una trombetta di latta.
Uno dei garibaldini, Cesare Alba, descrive così lo scenario drammatico di Bronte: “Case incendiate coi padroni dentro; gente sgozzata per le vie; nei seminari giovanetti trucidati a piè del vecchio Rettore; uno dell’orda è la che lacera coi denti il seno d’una fanciulla uccisa”.
E ancora: “Dopo Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi, ed altri villaggi lo videro, sentirono la stretta della sua mano possente, gli gridarono dietro: Belva! ma niuno osò muoversi”.
L’eccidio di Bronte non può essere dimenticato e, sebbene l’Italia dopo 158 anni stenta ancora ad unificarsi nella sostanza, il Risorgimento riscritto, forse potrebbe essere riportato più spesso nei libri di storia, non dimenticando altre barbarie come quella di Casalduni, Pontelandolfo, Pietrarsa, Auletta e tante altre.
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