Crollo Morandi, Gianluca vivo per miracolo parla della tragedia un anno dopo
Crollo Morandi, Gianluca vivo per miracolo, parla ad un anno dalla tragedia in cui persero la vita 43 persone, continuano le testimonianze di chi ha vissuto quei terribili istanti tra la vita e la morte. È il caso di Gianluca Ardini, 30 anni, uno dei sopravvissuti al crollo. Gianluca, genovese, quel giorno si è salvato per miracolo, ma anche grazie ad una strenua forza di volontà che gli ha consentito di restare aggrappato a dei fili per quattro ore prima che arrivassero i soccorsi.
Gianluca ha rischiato di non poter conoscere suo figlio nato appena un mese dopo alla tragedia, una situazione che gli ha dato forza mentre era appeso su dei fili tra la vita e la morte. Circostanza che, invece, non ha visto il collega Luigi che viaggiava con lui, morto sul colpo dopo l’ impatto. Gianluca è rimasto per ore con il cadavere di Luigi di fianco.
Intervistato da ‘Il Mattino’ a pochi giorni dalla commemorazione, Gianluca spiega: «Sto partendo per le vacanze, chiedo scusa ai parenti delle vittime, ma io proprio non ce la faccio a partecipare alla commemorazione organizzata per l’anniversario del crollo, rivivere un’altra volta le scene dello scorso anno mi farebbe troppo male».
Crollo Morandi, Gianluca è vivo per miracolo, ma quella esperienza ha lasciato segni sul suo corpo e sulla sua mente.
«Ho problemi fisici, soprattutto un danno permanente al braccio e all’occhio sinistro. Sono problemi gravi, ma non quanto le conseguenze psicologiche che mi ha lasciato quella giornata. Ancora oggi ho crisi di panico e il terrore di prendere l’ autostrada. Per questo, oltre alla fisioterapia, sto svolgendo un percorso di recupero psicologico anche con incontri collettivi e prendo dei farmaci per restare calmo. Tante volte mi ritornano alla mente soprattutto le immagini del mio amico che era con me nel furgone, sono scene indimenticabili».
Ferite che non gli consentono di lavorare.
«Ormai non posso più svolgere il lavoro che facevo prima dopo i danni subiti, non posso svolgere compiti manuali come sollevare pesi, quella che era la mia mansione principale. Al momento percepisco un’ indennità dall’ Inail che però si riduce progressivamente, non sono mai riuscito a prendere quanto il mio stipendio originario. Quando l’ Inail smetterà di darmi assistenza dovrò cercarmi un lavoro, ma ovviamente non potrà essere come quello di prima, spero mi aiuteranno».
Non solo problemi fisici, quindi, ma anche economici.
«C’ è mia moglie che lavora nel negozio di famiglia e riusciamo così a sbarcare il lunario. Ma ci sono le spese per il nostro bimbo che compirà un anno il prossimo 13 settembre, un mese dopo la tragedia. Pietro, così lo abbiamo chiamato, è stato certamente uno stimolo per non lasciare quei fili a cui sono rimasto aggrappato per ore».
A proposito di quegli attimi, il 30enne ha ricordi terribili.
«È la mia condanna, ma anche la mia fortuna. Se non fossi rimasto vigile sarei certamente morto, ma ricordare tutti quegli attimi fa male: il crollo del ponte, un volo di almeno 30 metri, vedere il mio collega morire di fianco a me, quelle ore interminabili in cui è letteralmente un filo a separare la vita dalla tua morte. Ricordo che urlavo e chiedevo aiuto, per fortuna i vigili del fuoco sono riusciti a sentirmi e mi hanno recuperato. Un’operazione complessa perché una mossa sbagliata avrebbe potuto farmi piombare giù».
La solidarietà e la causa in corso nei confronti di Autostrade.
«Il comune di Genova, dove vivo, ci è stato vicino e mi è stata assegnata una piccola cifra anche grazie alla solidarietà dei tanti italiani che hanno fatto beneficenza per aiutare vittime, sfollati e superstiti che come me hanno subito danni. Causa Autostrade? La sta seguendo il mio avvocato, ma finché non terminerò la riabilitazione è impossibile quantificare i danni che ho subito. Ora voglio solo godermi il mio Pietro e la mia compagna di vita. Questa esperienza mi ha fatto capire che basta un nulla per portarti via da questo mondo, ora riesco ad assaporare ogni attimo della mia esistenza, anche le cose che sembrano più banali. Oggi in ogni sorriso di mio figlio, per ogni volta che con la sua manina mi afferra un dito conosco il significato profondo e il valore che significa perché tutto questo avrei potuto non vederlo».
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