Lina Wertmüller si racconta in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’.
Lina Wertmüller si racconta in una intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’. La regista rivela alcuni retroscena che hanno caratterizzato la sua lunga carriera costellata di successi.
Il 22 maggio sarà a Cannes, per l’ omaggio che il festival le riserva con la versione restaurata dalla Csc-Cineteca nazionale di Pasqualino Settebellezze .
«Di premi e festeggiamenti non me ne frega molto, preferisco mi dicano che sono simpatica. Ma certo questo omaggio di Cannes mi rende felice»,
Su una parete il ritratto in bianco e nero, magnifico, di suo marito Enrico Job.
«Un uomo straordinario che mi ha reso molto felice: intelligente, bello, spiritoso. Per lui scrissi Mi sei scoppiato dentro al cuore che cantò Mina».
Ci sarà Giannini?
«Lo spero. Un amico, abbiamo vissuto vite insieme».
«Pasqualino Settebellezze» mostra il lato grottesco del nazismo, con quel personaggio della kapò.
«Un incrocio tra Buddha e Winston Churchill. Scelsi un’ attrice, Shirley Stoler, che vidi in un film, I killers della luna di miele. Andai a New York a cercarla, in un teatrino off Broadway. Il grottesco aiuta a guardare anche le cose più atroci. Deformando la realtà è più facile farmi capire».
Fu candidato agli Oscar, regia compresa, la prima volta di una donna.
«Merito di un critico cattivissimo, John Simon del New York Magazine, che già aveva apprezzato Storia d’ amore e d’ anarchia . Venne a Roma a incontrarmi e scrisse un articolo molto bello. Poi alla prima di New York mi chiesero di fare un discorso ma parlavo male l’ inglese. Avevo una bella cintura fatta con un calamaio, chiesi come si dicesse cintura. “Do you like my belt?” esordii. Venne giù la sala».
Con i produttori di Hollywood andò peggio, vero?
«All’ inizio tutti mi volevano, feci un contratto con la Warner Bros per quattro film. Il primo, Fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia con Giannini e Candice Bergen non andò bene. Mi cercò il proprietario di Penthouse per propormi il Caligola scritto da Gore Vidal, che poi fece, male, Tinto Brass. Rifiutai. All’ inizio mi sentivo eroica, poi in taxi mi vennero le lacrime agli occhi. Che cretina, rinunciare a tutti quei soldi».
Rimpianti?
«Nessuno. Meglio l’ Italia dell’ America. Non c’ è gara».
C’ è Agnès Varda sul manifesto di Cannes ’72. Lei è stata tra le pioniere anche lì, in concorso nel ’73 con «Film d’ amore e d’ anarchia» per cui Giannini fu premiato.
«Noi ragazze eh… Sul set bisogna avere la forza di imporsi. Dirigere vuol dire tenere in mano le fila di tutto».
È una leggenda che menasse?
«Vero, vero. De Crescenzo era uno di quelli che recitavano con il dito. Lo avvisai: guarda che te lo mozzico. Poi con una certa volgarità gli dissi: sai dove te lo dovresti mettere? Niente. E lo morsi».
Cambiato idea su Moretti?
«No. Fu cafone. Mi aveva preso in giro in Io sono un autarchico. Quando lo incontrai a Berlino, sul red carpet, mi avvicinai per stringergli la mano e riderci su. Lui se ne andò. E allora gli dissi: A Moretti, ma vaffa… Perché con il ma davanti vale di più».
Fellini e i musicarelli. Canzonissima di cui fu autrice e le regie liriche. «I Basilischi» e «Giamburrasca». Le sceneggiature per Zeffirelli e per Sollima. Tutto si tiene con lei.
«Libertà assoluta, non credo nei generi. La gioia di vivere è la cosa più importante. Le regole? Vanno tradite. Però c’ è una cosa che non sa di me».
Cosa?
«Sono stata campionessa romana di boogie woogie, in coppia con Sergio Corbucci. Ballavo molto bene, mi divertivo. Lei balla?».
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