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Spettacolo

Fabrizio Moro si racconta: “Uscire dal tunnel delle dipendenze mi ha fatto capire la mia forza…”

Fabrizio Moro si racconta in una lunga intervista rilasciata ai microfoni di Vanity Fair, vi proponiamo alcuni passaggi.

Fabrizio Mobrici, meglio noto come Fabrizio Moro, si racconta in una lunga intervista rilasciata ai microfoni di Vanity Fair. Di seguito alcuni passaggi evidenziati dalla redazione di BreveNews.Com.

Chi sono oggi i «figli di nessuno»?
«Le persone che hanno sogni più grandi di quelli che potrebbero permettersi».

Per esempio?
«Me stesso. Rocky Balboa, il mio eroe. Ilaria Cucchi».

Anni fa aveva scritto una canzone sui maltrattamenti subiti da Stefano.
«Nel 2011, ma l’hanno censurata perché dicevo la verità sulla sua morte».

Ora, però, il film Sulla mia pelle ha dato una spinta per riaprire il caso.
«È la dimostrazione che, se fatta con coraggio, l’arte può cambiare le cose».

C’è mai stata una sua canzone che ha contribuito a cambiare le cose?
«Sarei presuntuoso a dirlo».

Lo sia, solo per questa risposta.
«Pensa, con cui ho vinto Sanremo Giovani nel 2007. L’ho scritta dopo aver visto la miniserie televisiva Paolo Borsellino, con Giorgio Tirabassi nel ruolo del giudice. Il testo è stato inserito nei libri di scuola: se oggi i bambini sanno qualcosa in più sulle stragi di mafia è anche un po’ merito mio».

La passione civile è presente anche nel suo ultimo disco: Me’ nnamoravo de teè un inno all’Italia di Berlinguer, Pasolini e Pertini.
«Erano persone credibili, che hanno fatto del bene al nostro Paese. Infatti erano rispettati anche da esponenti del fronte opposto. Alla camera ardente per Berlinguer c’era persino un uomo di estrema destra come Almirante. Al contrario, i politici di oggi sembrano personaggi usciti da un talent show».

Deluso da questo governo?
«Deluso dalla politica: manca un’idea di collettività. Ognuno di noi avrebbe l’impulso di combattere, ma poi non agisce perché si guarda intorno e vede che nessun altro lo fa. Siamo tanti Don Chisciotte arresisi ancora prima di iniziare la battaglia».

Alle elezioni europee voterà?
«Certo, è l’unico modo che ci è rimasto per cambiare le cose».

Un tempo si scendeva in piazza.
«L’ho fatto anch’io. Alle superiori partecipavo spesso alle manifestazioni. Mica per saltare la scuola: protestavo per rabbia».

Rabbia verso cosa?
«Mi sentivo incompreso. Ero un ragazzino troppo sensibile e troppo ambizioso. Puntavo in alto ma non avevo i mezzi per concretizzare i miei sogni. Padre operaio, madre casalinga, non potevo neanche dedicarmi interamente alla musica: dovevo lavorare. Ero frustrato: non avevo nulla».

Ora che ha tutto, si è placata la rabbia?
«Si è trasformata. In grinta, credo. Un po’ di inquietudine rimane ma, in questo momento, sono abbastanza felice».

Che cosa occorre per eliminare quell’«abbastanza»?
«Impossibile per me: mi tengo sempre a un centimetro dalla felicità, altrimenti ho paura di perdere gli stimoli».

Altre paure?
«Le malattie: sono un vero ipocondriaco. Faccio gli esami del sangue prima di ogni concerto. Chiamo il medico continuamente, anche di notte se avverto qualcosa di strano».

Cerca i sintomi su Internet?
«Per carità: se googlo “febbre, mal di testa, raffreddore” esce che sto per morire. Ho affrontato questo problema con vari psicoanalisti. Non è servito a niente».

Mai provata la meditazione?
«Inutile: per meditare devi svuotare la testa. Appena ci provo mi si affolla ancora di più. Per questo faccio fatica ad addormentarmi».

A che ora si sveglia?
«Alle otto. Poi rimango nel letto fino alle 9.30».

Quindi non accompagna i suoi figli a scuola.
«Non spessissimo. Ora, poi, che non vivo con Libero, Anita e la loro mamma è più difficile».

In Arresto cardiaco canta: «Se avessi saputo sarei migliorato e mi sarei anche andato a sposare». Tornasse indietro si sposerebbe?
«Assolutamente no: per me il matrimonio ha senso solo da vecchi, come culmine di una vita insieme. Con la mia ex compagna non ero sposato, ma mi sentivo ugualmente legato a lei».

Che cosa è andato storto?
«Il lavoro per me è importantissimo, ma non riesco a rendere partecipe la persona che mi sta accanto. Non sono quello che scrive una canzone e corre a farla ascoltare alla fidanzata. Non sono quello che scende dal palco e le racconta le emozioni provate lassù».

Le va di raccontarle a noi?
«È un grande momento di collettività, come una bellissima cena tra amici. Mi pesa stare lontano dal palco. Infatti sono già preoccupato perché questa sarà la prima estate in undici anni in cui non canterò. Riprendo il tour a ottobre. Credo che, fino ad allora, sprofonderò nella depressione».

Dove andrà a deprimersi?
«In Sardegna».

Con una nuova compagna?
«No, sono single».

Single in pace o single in cerca?
«È complicato: quando una donna è carina con me non so mai se sia perché le interesso o perché sono famoso».

A lei che tipo di donna interessa?
«Una forte, che sappia prendersi cura di me».

Ha mai cantato in privato a una ragazza per fare colpo?
«Mai».

Perché?
«Perché mi imbarazzo. Ora per fortuna non capita più ma, quando in passato mi trovavo a suonare in locali con solo 80 spettatori, andavo in panico. Salivo sul palco e facevo finta di trovarmi di fronte a 5 mila persone, almeno mi saliva l’adrenalina».

Ansioso fin da bambino?
«Fragile, come mia madre».

Suo padre, invece?
«Era un uomo chiuso. A otto anni ha lasciato la Calabria per andare a lavorare a Roma. Ma la mentalità provinciale non l’ha mai abbandonato. Lui era il padre, noi i figli: interazione zero».

Parla al passato perché non c’è più?
«No, perché da quando è diventato nonno è cambiato. Con i miei bambini si scioglie. Libero ha 10 anni ed è un fan sfegatato di Cristiano Ronaldo: guardano insieme i video dei suoi goal. Anita ne ha 6 e ama la musica: lui la ammira ballare e cantare».

È cambiato anche con lei?
«No, non è ancora riuscito a dirmi “bravo”. Nel contempo, però, sono cambiato io».

Come?
«Alle medie ero bullizzato. Ora sono un duro».

Che cosa ha innescato la trasformazione?
«Le sconfitte».

Tra queste rientra l’«alcolismo adolescenziale» di cui canta in Figli di nessuno?
«Sì, non mi vergogno ad ammetterlo».

In Per me troviamo anche allusioni esplicite all’eroina, quando parla di «ago spiazzato, sorriso di gioia coi buchi fra i denti». Autobiografico pure questo?
«No, però diciamo che, in quegli anni, non ho curato abbastanza il mio corpo. In ogni caso, uscire dal tunnel delle dipendenze è stata una delle due molle che mi hanno fatto scoprire quanta forza avessi dentro».

L’altra molla?
«Nel 2000 partecipo a Sanremo. Ero assolutamente inconsapevole di dove fossi e di cosa accadesse intorno a me. Arrivo tra gli ultimi. La Ricordi rompe il contratto. Comincio un lungo pellegrinaggio di casa discografica in casa discografica portando le mie nuove canzoni. Mi ripetono tutti la stessa cosa: sei finito».

Come ha reagito?
«Mi sono ribellato alla sconfitta. Non ho mollato. E ho vinto».

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