Saviano spiega perché non racconta le cose belle di Napoli
Roberto Saviano viene spesso accusato di raccontare solo gli aspetti brutti di Napoli. Lo scrittore e giornalista spiega il motivo attraverso un articolo pubblicato sulle pagine de ‘La Stampa’. Ve lo proponiamo integralmente.
“«Però ti prego, per una volta, per una volta sola parla bene di Napoli». Quando torno a Napoli vengo accolto con sorrisi, abbracci, pacche sulle spalle e con questa frase, come se si possa provare piacere nel raccontare le piaghe che affliggono il luogo in cui sei nato e dove hai trascorso gli anni più importanti della tua vita. Ma Saviano diffama Napoli, e diffama l’Italia all’estero, e diffama la Germania, Londra e qualunque luogo tocchi o racconti. Ricordate in “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola la scena della proiezione di Ladri di biciclette? Siamo ancora tutti là, dentro quel piccolo cinema di paese, dove il professor Caprigno, disgustato dopo aver visto il film di De Sica, si alza e dichiara: «Opere siffatte offendono la grazia, la poesia, il bello. Questi stracci e questi cessi ci diffamano di fronte al mondo. Di questi filmacci bene ha detto un giovane cattolico di grande avvenire, vicino a De Gasperi (si trattava di Giulio Andreotti): i panni sporchi si lavano in famiglia».
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Talvolta ho l’impressione che non si sia mai usciti davvero dal cineforum di Nocera Inferiore perché di professor Caprigno il nostro Paese è pieno. Per loro raccontare equivale a edulcorare, denunciare non si può, si deve solo gettare fumo negli occhi, consolare e dire – e dirsi – che tutto va bene. Ma non va tutto bene e lo testimonia l’impegno di chi a Napoli e, più in generale, nel Sud Italia, lotta per la normalità. Attenzione, non per avere di più, non per essere più competitivi, non per diventare l’eccellenza del paese. No, in molte zone del nostro Paese si lotta per la normalità e questo non possiamo permetterci di ignorarlo. E questo non possiamo a nostra volta considerarlo normale.
Ma – affermano gli sdegnati i censori – Napoli è il sole, il mare, la cultura, la pizza più buona del mondo, le canzoni, Enrico Caruso e Villa Pignatelli. Caravaggio e San Domenico Maggiore. Perché non parli di questo? Non ne parlo perché fa parte della sua stupenda complessità; ogni meraviglia citata porta con sé sudore, sangue, sporcizia, corruzione. La bellezza di Napoli, isolata e cantata per promuoverne l’immagine, è il modo migliore per renderla sterile. Nelle pagine di Norman Lewis c’è la bellezza di Napoli, ma è colma di dolore, stupri, prostitute, feccia, ingiustizia, arretratezza, mala politica, superstizione. E per questo è una bellezza reale. Se dovessimo giudicare Napoli ’44, Ferito a morte, La pelle, dalle quote di bene e di male, distruggeremmo ogni potenza letteraria riducendola a banale minestrone. Non riusciremmo a notare l’equilibrio nel racconto e non riusciremmo a comprenderne la complessità, la necessità. Napoli come racconto universale, eppure l’Italia dei professor Caprigno chiedeva a ogni racconto che ne lambisca i confini di essere agiografia e non narrazione. Ma la censura è tanto solerte quanto impotente, e ai professor Caprigno non spetterà mai l’ultima parola. Ai suoi vagheggiamenti risponde il professor Palumbo, interpretato da un geniale Stefano Satta Flores: «Egregio signor Preside, noi qui stasera abbiamo visto un film stupendo! Con i suoi cessi e i suoi stracci, esso ci fa riconoscere i veri nemici della collettività proprio nei falsi difensori della grazia, della poesia, del bello e di tutti gli altri ipocriti valori della vostra cultura borghese».
Forza, usciamo tutti dal cineforum di Nocera Inferiore e guardiamo l’Italia, guardiamo Napoli, scopriremo un mondo fragile, fatto di cessi e stracci che dobbiamo smettere di lavare in famiglia. Girare lo sguardo o conoscere: a voi la scelta”.
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