Donna Patrizia di Gomorra, ovvero l’attrice Cristiana Dell’Anna, ha rilasciato una intervista ai microfoni de ‘Il Mattino’:
Dalla cultura allo sport.
«Bambina particolare, lo ammetto. Non avevo molte amiche, uscivo poco e mi rifugiavo nella lettura. Riuscivo ad astrarmi completamente».
Quali erano i suoi libri preferiti?
«Leggevo di tutto. Amavo Italo Calvino in modo particolare, ma anche Robert Musil: L’uomo senza qualità è bellissimo, un romanzone che resta tra i miei preferiti».
Bambina davvero particolare.
«Solo questione di passione, tutto qui. Per il resto ero come le altre. Scuola, compiti, sport. Niente di speciale. Anzi, forse studiavo pure meno di quanto avrei dovuto, ma ero sempre tra le brave, e alla fine scelsi il liceo classico».
Dove lo ha frequentato?
«A Giugliano, vivevamo lì. A parte Maurizio Bugno – il mio professore di greco e latino, che mi ha insegnato tanto e al quale sono ancora molto legata -, quegli anni di scuola non li ricordo con particolare entusiasmo».
Perché?
«Non mi sentivo a mio agio, la vita della cittadina di provincia mi stava stretta, volevo muovermi, esplorare, conoscere. Infatti poi andai via».
Quando?
«Dopo la maturità, avevo solo 17 anni. Superai i test per l’iscrizione a Medicina – a Napoli, ma anche al Campus biomedico di Roma, dove naturalmente scelsi di andare».
Quindi voleva fare il medico.
«No, l’attrice. Peccato che i miei genitori la pensassero diversamente. Sono figlia di un medico e quello era il futuro che immaginavano per me. Quando, ancora a scuola, cominciai a dire che il mio sogno sarebbe stato quello di iscrivermi all’Accademia di arte drammatica di Londra, cercarono di scoraggiarmi in ogni modo».
Alla fine ci riuscirono.
«Sono sempre stata una brava figlia, sapevo che sarebbe stato giusto fare di testa mia, ma non trovavo il coraggio di farlo. Anche dopo il diploma andò così. Misi da parte la mia voglia di palcoscenico e mi iscrissi ai test di Medicina».
Superati sia a Napoli sia a Roma.
«A quel punto, scelsi il Campus biomedico, almeno cambiavo aria».
Via da Giugliano.
«A Roma ci sono rimasta quasi due anni, poi ho detto basta. Volevo fare l’attrice, e Londra era la mia meta. Benché i miei genitori continuassero a non essere d’accordo, misi insieme i soldi del biglietto e partii per l’Inghilterra. Ricordo ancora la preoccupazione di papà e le lacrime di mamma».
Quanti anni aveva?
«Una ventina. Londra fu una sorpresa straordinaria, dopo qualche giorno ero già a mio agio. Trovai casa, e anche le amiche che non avevo mai avuto».
E i soldi? Continuavano a mantenerla mamma e papà?
«No. Non condividevano la mia scelta, decisi che me la sarei cavata da sola. Cominciai a lavorare nei pub, come fanno tanti ragazzi, e con quello che riuscii a mettere insieme mi iscrissi a un corso su Shakespeare alla Guildhall School. Ma il mio obiettivo era un altro».
Quale?
«La Drama Studio London – una delle migliori scuole di recitazione e arte drammatica. Non era facile: ci volevano i soldi e bisognava superare il provino. Riuscii in entrambe le imprese, e finalmente cominciò la mia nuova vita».
Lontano dalla famiglia e verso il successo.
«Quello sarebbe arrivato tempo dopo. Intanto, però, ero felice. Recitavo e lavoravo. La vita da studente di arte drammatica a Londra vi assicuro che è meravigliosa».
Come se la cavava con l’inglese?
«Molto bene. L’avevo studiato da bambina, dovevo solo perfezionarlo. Anzi, recitare in inglese mi era congeniale e spero, prima o poi, di tornare a farlo».
Da bambina, diceva. Quando divorava libri e amava la musica.
«Ho studiato anche pianoforte. Avevo un maestro bravissimo, Ciro Palella, che dirige una scuola di musica a Volla. Un punto di riferimento per me: Il pianoforte è come la vita mi diceva quello che ci metti, quello ci trovi. Così mi spronava a fare sempre di più. E io lo seguivo volentieri».
Un’infanzia felice quella di donna Patrizia.
«Direi proprio di sì. Famiglia unita e tanto amore. Con i miei due fratelli, poi, vivevamo in simbiosi; con Giuseppe in particolare, abbiamo appena sedici mesi di differenza: da bambini si faceva tutto insieme. Poi è arrivato Marco, sette anni dopo. Vivono entrambi negli Stati Uniti, il primo fa il veterinario, il secondo è un ingegnere chimico».
Un ricordo?
«Le vacanze a Baia Verde. Che belle, un posto che mi sembrava incantato. Avevamo una casa, tuttora la sogno; e non vi nascondo che ogni tanto, da sola, ci torno. Mi divertivo da morire. Un anno, poi, mi fidanzai con il ragazzino più carino della spiaggia: si chiamava Vincenzo, conservo ancora la sua foto. E poi c’era il nonno, faceva il preside, e ogni estate con lui ripetevo il greco e il latino. Fu il primo a credere che davvero avrei fatto l’attrice».
A proposito di attrice. Come ha cominciato?
«Ero a Londra, tornai a casa per le vacanze. Un amico mi convinse a fare il provino per Un posto al sole. Poi ripartii per l’Inghilterra dove, nel frattempo, facevo piccole cose in teatro. Una mattina ricevetti una mail: avevo superato il provino».
Così tornò a Napoli.
«A malincuore, devo dire. A Londra stavo benissimo e amavo recitare in inglese. Ma il lavoro non potevo rifiutarlo. Durerà qualche mese pensai poi torno in Inghilterra».
Invece, qui è rimasta.
«Una cosa ha tirato l’altra».
Fino a quando è arrivata Gomorra.
«Provino anche stavolta, cercavano gli attori della prima stagione. Avevo 27 anni. Quando fai un provino non sai mai qual è il ruolo che serve, così sbagliai l’idea del personaggio e non mi presero, però fu un bene. Comunque ero piaciuta, l’anno dopo si fecero risentire: mi aspettava Patrizia».
Mica male.
«Come diceva il mio maestro di piano: Il giorno più bello è quello che deve ancora venire».
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