Volevano far evadere Riina nel 1993: le rivelazioni del pentito
La cattura di Totò Riina, è stata sicuramente uno degli eventi più significativi del millennio scorso. Il 15 gennaio del 1993, il capitano Ultimo, oggi colonnello, mise le manette ai polsi del potenitissimo boss di Cosa Nostra, a margine di un’operazione che vide tra i protagonisti anche un luogotenente dello stesso Riina.
Quell’arresto fu senza dubbi eccellente ma portò anche alcuni strascichi, oltre che i sospetti per la mancata perquisizione a quello che era l’alloggio di “Totò o’curtu” all’epoca. A distanza di 26 anni emergono nuovi retroscena, a tratti inquietanti, sull’arresto e la detenzione di Totò Riina, morto poi il 17 novembre del 2017. A raccontarli è ‘Il Fatto Quotidiano’:
“Attraverso le cosche calabresi, il Sisde voleva fare evadere Totò Riina sei mesi dopo la sua cattura a Palermo nel gennaio 1993. A riferirlo è il pentito Pasquale Nucera, sentito ieri nel processo “’ndrangheta stragista” che vede imputati i boss Giuseppe Graviano e Rocco Filippone, accusati dell’attentato ai carabinieri Fava e Garofalo rientrante nelle “stragi continentali”.
Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, il collaboratore di giustizia descrive un progetto di evasione stile “El Chapo”: la ’ndrangheta avrebbe dovuto assoldare mercenari serbi e un pilota di elicottero.
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Ci sarebbe stata anche una riunione, a Montecarlo dove pezzi infedeli dello Stato, già coinvolti nell’inchiesta sullo scandalo dei fondi neri del Sisde, si sarebbero incontrati con un agente libico, il figlio del boss Mico Libri e Vittorio Canale, storico ambasciatore della cosca De Stefano in Costa Azzurra. A quella riunione Pasquale Nucera non partecipò ma accompagnò proprio Vittorio Canale che, in quel periodo, lo stava ospitando a Nizza, nell’hotel “Panoramic”, “una vera e propria base per ‘ndrangheta e Cosa nostra”.
Sono passati più di vent’anni da quando Nucera ha deciso di saltare il fosso facendo trovare, a largo delle coste calabresi, la nave militare “Laura C”, affondata agli inizi del Novecento con tonnellate di tritolo diventato poi l’arsenale della ’ndrangheta. Alcuni nomi non li ricorda. Altri invece ce l’ha impressi nella mente come quello di Licio Gelli conosciuto a Roma in un incontro organizzato per discutere dell’appalto sul doppio binario che collegava Reggio Calabria a Saline ioniche.
Quando il pm lo incalza rivive tutte le situazioni e incastra le circostanze come aveva già fatto davanti ai magistrati di Palermo e Firenze. Era il luglio 1993 quando – dichiara il pentito – si svolse una riunione in un albergo di Montecarlo”. A quell’incontro “c’era un agente libico e c’era Broccoletti, uomo dei servizi deviati”. Il nome di battesimo non lo fa, ma il riferimento è a Maurizio Broccoletti, l’ex direttore amministrativo del Sisde, allontanato nel 1991 dagli apparati di sicurezza e coinvolto nello scandalo dei fondi neri.
L’agente libico, invece, per il pentito Nucera è un personaggio che, “fino a 4 o 5 anni fa lavorava con il petrolio, la benzina di contrabbando che veniva venduta a parecchi distributori gestiti dalla ’ndrangheta e da cosa nostra”. “Ho accompagnato Vittorio Canale a quell’incontro in cui Broccoletti e l’agente libico lo avevano incaricato di organizzare l’evasione di Salvatore Riina dal carcere. – dichiara Nucera – Gli avevano dato una prima rata di acconto di 100mila dollari. Forse di più. Soldi che dovevano servire ad assoldare un gruppo di 20 mercenari e un pilota di elicottero”.
Questo compito spettava proprio a Pasquale Nucera perché era in contatto con i mercenari che nel 1991 avevano combattuto la guerra del Golfo. In Iraq, infatti, c’era pure il pentito: “Sono stato lì 22 giorni”. È per questo che – aggiunge – a me diedero l’incarico di gestire i rapporti con i mercenari che servivano per l’evasione di Riina”. Nucera fornisce i loro nomi: “Sono andato a Belgrado. Dovevano essere serbi. Gli dovevo presentare alcuni mercenari di Milosevic come Vinco, Machilla, Luis e Alain”.
I rapporti tra le cosche calabresi e quelle siciliane stanno dietro pure all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti consumato nel 1991. La decisione di uccidere il magistrato, che in Cassazione avrebbe dovuto rappresentare l’accusa nel maxi-processo a Cosa Nostra, fu presa in un summit a Villa San Giovanni dove i boss calabresi incontrarono “il commercialista di Riina, Mandalari”, e un tale “Santoro”. In realtà, quest’ultimo era “Leoluca Bagarella”. Non ha dubbi il pentito Nucera: “’Ndranghetisti e massoni hanno deciso di eliminare il giudice Scopelliti””.
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