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Televisione

Lino Guanciale: “Ero belloccetto, ma non chissà che”

Lino Guanciale in un’intervista a Vanity Fair

Lino Guanciale in tv con la seconda serie di la Porta Rossa su Rai 2, ha rilasciato un’intervista a Vanity Fair in cui si racconta alla soglia dei quarant’anni, “Da un punto di vista affettivo sento che sto scavallando: dopo anni passati a dare priorità al lavoro, ora mi si aprono nuovi spazi”.

Lino Guanciale è uno dei pochi attori che riescono ad unire i lavori in tv al teatro per il quale nel 2018 ha ricevuto due premi importanti, l’Anct e l’Ubu. Guanciale racconta che i suoi colleghi a teatro all’inizio storcevano il naso, “Il mio obiettivo non era fermarmi lì. La visibilità mi ha permesso di fare teatro. Oggi non criticano più: negli ultimi anni le cose sono cambiate, molti steccati sono stati abbattuti”.

Ne la Porta Rossa interpreta il commissario Cagliostro che, ucciso in servizio, resta sulla Terra per regolare dei conti, invisibile per tutti tranne che per una liceale. A proposito del paranormale racconta, “Condivido la prospettiva degli agnostici per cui non si può provare né che ci sia qualcosa né che non ci sia. La mia convinzione deriva dalla sfiducia nelle religioni organizzate, che spesso sono state veicolo di potere nei confronti di chi aveva meno mezzi intellettuali”.

 

 

Guanciale è famoso per i ruoli da burbero e stronzo, come interpretato anche nella fiction ‘Non dirlo al mio capo’ con Vanessa Incontrada ed ora con il commissario Cagliostro. L’attore racconta che, per imparare al meglio il ruolo, è andato in giro in metropolitana a spiare gli uomini che sembravano palesemente stronzi, e li imitava, “Guardo e imito, anche se questo ha comportato qualche minaccia fisica e ho imparato a farlo con più discrezione”.

Per Guanciale è stata una novità sentirsi definire ‘bello’ e racconta, “Sono onesto, questa cosa non l’ho mai calcolata. Sono stato il primo a stupirmi quando hanno iniziato a parlare di sex symbol. A teatro ero considerato un bel ragazzo, ok, ma c’era tanto di meglio, Bova. Santamaria. Borghi. In accademia ero con Francesco Scianna: era lui il bello. Io ero belloccetto, ma non chissà che”.

 

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