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Italia in recessione, investimenti a rischio?

Italia in recessione, i dati che preoccupano:

I dati macroeconomici parlano chiaro, l’Italia è il paese dell’Unione Europea con le prospettive di crescita più basse, tanto quest’anno quanto nel 2020; una frenata che si è avvertita già a partire dall’ultimo trimestre del 2018. Dati che in qualche modo devono far riflettere, specie se le stime di crescita addirittura sfiorano il margine dell’inesistente (0,2% nel 2019, ampiamente al di sotto rispetto agli altri paesi del continente e dell’Eurozona).

Le cause delle difficoltà del nostro paese sono molteplici e, come spiega un’analisi sull’economia italiana pubblicata da Moneyfarm, vanno dai difetti strutturali all’altrettanto strutturale incapacità di affrontare le congiunture di fase. Ciò che preme mettere in evidenza, in questo ciclo complicato, è il destino degli investimenti, che sicuramente non trovano nell’instabilità italiana il loro terreno preferito.

Uno dei principali problemi che attanaglia il nostro paese è rappresentato dall’ormai famigerato Spread, fino a qualche anno fa sconosciuto e oggi tema di discussione di ogni famiglia. La fortissima oscillazione che il differenziale tra i nostri titoli di Stato e i Bund tedeschi avverte quasi quotidianamente rende inevitabilmente molto ostica la vita agli investitori, piccoli e grandi, messi pressoché di avvertire l’Italia come una potenziale minaccia al loro capitale. Se non è stabile infatti il principale indice economico, difficilmente potranno esserlo i titoli privati. Ed infatti, nonostante la forte spinta che si è riscontrata, ad esempio, sui PIR, gli investimenti sui titoli a medio capitale hanno registrato una contrazione importante, segno evidente che il gioco delle tre carte ha funzionato solo fino ad un certo punto.

Nonostante la presenza, tra le fila della Lega, di esponenti che in questi anni hanno condotto in prima fila la critica alla moneta unica, in particolar modo Claudio Borghi e Alberto Bagnai, in Italia la questione Euro sì, Euro no, è abbastanza sopita. La realtà, tuttavia, ci parla di un paese che dai cambi fissi ha avuto tantissimo da perdere e pochissimo da guadagnare. I grafici sulla produttività, sul lavoro, sulle prospettive di crescita, sono lì a testimoniarlo. Questo significa addossare all’Eurozona tutte le responsabilità dei tentennamenti dell’economia nostrana? Dio ne scampi! E però è chiaro che l’impossibilità di gestire i cambi ha in qualche modo inciso profondamente sulla direzione che il paese intendeva assumere. Un elemento da tenere sempre a mente quando si vogliono comprendere i problemi della nostra economia. Delle due, quindi, l’una: o l’Italia muta radicalmente il proprio paradigma di paese votato alle esportazioni di prodotti finiti, o l’Italia ragiona sulle modalità di ripensare altrettanto radicalmente la struttura dell’area valutaria. Un tertium, sinceramente, assumerebbe le sembianze di un castello di carta.

Naturalmente tutto ciò ha un’incidenza di rilievo, come detto, sugli investimenti. Non è per niente facile, agli occhi di un risparmiatore, vedere nell’Italia non tanto un paradiso terreste, ma quantomeno un porto stabile. Gran parte degli asset offerti dal nostro paese si rivelano sovente scommesse al buio, troppo avventate per chi non è preparato al rischio. Il suggerimento quindi che appare più saggio è quello di optare per un portafoglio diversificato, supervisionato da un consulente esperto. Di norma, comunque, è sempre opportuno non andare alla cieca quando si mettono in gioco i propri soldi. A maggior ragione, ça va sans dire, quando si decide di puntare tutto sull’amata patria. Un investimento diversificato consente di contenere i rischi, mettendosi al riparo dalle oscillazioni del mercato, e guardare alle strade più redditizie del momento. La prudenza, in questo caso, è senza dubbio la migliore consigliera.

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