La storia del Vigile del fuoco eroe morto nell’esplosione di Rieti:
Il giorno prima, per la festa di santa Barbara protettrice dei vigili del fuoco, Stefano Colasanti in caserma impersona il morto nella simulazione dello scoppio di un’ autocisterna. Ieri, mentre è alla guida di un camion da Poggio Mirteto, nel Reatino, a Monterotondo per la revisione in officina, la realtà supera l’immaginazione. Alla vista delle fiamme il pompiere, 50 anni, sindacalista della Uil e allenatore della squadra di calcio a 5 femminile Cittaducale che gareggia in serie D, si ferma.
Non è in servizio operativo, ma intuisce il pericolo e chiama i rinforzi. È ancora lì all’ arrivo della prima squadra di soccorso e dell’ autoambulanza. Troppo vicino all’ esplosione che lo travolge all’ improvviso, con un’ onda d’ urto così dirompente da scaraventarlo a decine di metri di distanza. Malgrado l’ esperienza nel valutare il rischio potenziale, Colasanti, come confermeranno più tardi alcuni suoi colleghi, è sopraffatto dalla dinamica imponderabile della deflagrazione. Quando è ormai troppo tardi al distributore arriva il fratello poliziotto, autista del questore di Rieti Antonio Mannoni, che non sa ancora nulla.
Dell’ altra vittima, non ancora identificata e sottoposta al test del Dna, si ipotizza si tratti di un automobilista forse fermatosi perché incuriosito dalla colonna di fumo. In serata i feriti salgono a 18, tutti soccorritori, ricoverati negli ospedali di Rieti e della Capitale. Quelli con le ustioni più gravi, in alcuni casi sopra il 50%, vengono trasferiti nel reparto specializzato del Sant’ Eugenio (sono tre i pazienti in prognosi riservata). Nel frattempo al Pronto soccorso del Sant’ Andrea, nel quadrante nord di Roma, i parenti aspettano notizie dei quattro vigili del fuoco affidati alle cure mediche. Fabio Giuliani freme. Vuole sapere del padre Lorenzo, 54 anni, di Poggio Mirteto, che oltre alle bruciature ha riportato fratture alle costole: «Non sono ancora riuscito a parlargli, appena mi hanno avvertito mi sono catapultato qui». Com’ è crescere con un papà che rischia ogni giorno la vita?
«Sono orgoglioso del suo lavoro, l’ ho sempre visto come un supereroe… Ho già fatto i test per entrare nel Corpo, voglio seguire il suo esempio». Fabrizio, il fratello del caposquadra, lo descrive come «molto spaventato». E ammette, mentre si stringe alla cognata con gli occhi rossi di pianto: «È stata una botta tremenda».
Nel limbo di chi aspetta che si aprano le porte arancioni del triage, presidiate da guardie giurate, siede la moglie di un altro pompiere ferito, Fabio Matteozzi, 47 anni, di Monte Libretti: «Mi ha detto di non preoccuparmi, che ha solo qualche ustione sulle gambe… ma è tosta, siamo distrutti».
A tenere i contatti con i familiari e aggiornarli sulle condizioni dei propri cari è Stefano Tomaselli, funzionario di guardia al comando provinciale di Roma: «I soccorritori sono stati colti di sorpresa – racconta -. In casi come questo si fa sempre una stima del rischio, ma l’ evoluzione è stata talmente rapida da annullare qualsiasi previsione». Come stanno i colleghi? «Sono molto provati, parlano poco, ma gli occhi dicono tutto… sono occhi che hanno visto la morte in faccia. Stanno vivendo un doppio trauma, fisico ed emotivo, difficile da rimuovere».
Come si supera uno choc di questa portata? «Ci si ributta nella mischia, per cancellare i ricordi ma anche per confermare gli ideali di soccorso, salvataggio e servizio. Come un bambino che cade e deve rialzarsi per continuare a correre», è la metafora che ha il sapore di una carezza. Tra le poche parole che Tomaselli riesce a raccogliere, a colpirlo è un’ immagine ricorrente: «Il boato, l’ onda di calore, corpi scagliati dall’ altra parte della strada…». E poi le grida, il fumo nero.
Fonte: Il Corriere della Sera
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