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Cronaca

Felice Maniero a Repubblica: “Così trattai con lo Stato. Rimorsi? Solo per un delitto. Legalizzazione della droga per sconfiggere le mafie”

Roberto Saviano ha intervistato l’ex boss della mala del Brenta, Felice Maniero, per le pagine de ‘La Repubblica’. Vi proponiamo alcuni passaggi:

All’alba del 23 febbraio del ’79 alcuni uomini entrano nella Basilica di San Marco a Venezia. 
“Sì”.

Rubano una collana di diamanti e altre pietre preziose dal quadro di una Madonna…
“Nicopeia”.

Esattamente. Valore stimato all’epoca: un miliardo di lire. Qualche settimana dopo, però, i gioielli vengono ritrovati, o meglio, fatti ritrovare. Perché avete deciso di rubare?
“Perché io avevo una pesante sorveglianza speciale, dovevo essere a casa alle 7 e venivo controllato tre volte al giorno… non ce la facevo più! E allora ho fatto fare il furto e poi ho contrattato…”

Quindi era una forma di riscatto, di sequestro con riscatto?
“Eh”.

Lo Stato nega, ma in realtà c’è stato un meccanismo di questo tipo…
“Sì. M’hanno tolto la sorveglianza speciale e recuperato i gioielli”.

Quindi, il furto delle opere d’arte, in genere, viene usato come forma di ricatto? […] E con chi avveniva la trattativa? I Servizi? Le polizie?
“Ah, guardi, a me a casa ne arrivavano tre o quattro ogni giorno di potentati”.

Cioè uomini dello Stato?
“Sì”

Forze dell’Ordine, Servizi…?
“Sì, sì”.

Il 10 ottobre 1980, in quella che è conosciuta come “la notte dei cambisti”, gli uomini della Mala del Brenta arrivano al Casinò di Venezia, cacciano i cambisti fuori a calci e gli intimano di non farsi più vedere prima di aver trattato un accordo con loro.
“Per quel raid abbiamo fatto anche due mesi di carcere ma ne è valsa la pena perché poi mi hanno pagato per quindici anni 2 milioni al giorno. Arrivavano circa 60 milioni di lire ogni mese in contanti, senza fare niente”.

Quando iniziaste a fare traffico di droga?
“Negli anni ’80 quando sono arrivati siciliani, camorristi e ‘ndranghetisti a venderla”.

Quindi arrivano le mafie storiche a commercializzarla, e lì capite che…
“Che non era possibile non farlo noi altrimenti avrebbero preso il mercato, e li avremmo avuti in casa!” 

È vero che inizialmente lei era contrario al traffico di droga?
“Sì”.

Anche perché, tra l’altro, dopo che iniziate a farlo, cominciano ad esserci in Veneto molti morti per droga…
“Eh certo…”

Quindi all’inizio c’era questa contrarietà morale quasi…
“Sì, anche perché noi, non usandola, la criticavamo. Chi prendeva droga non poteva entrare…”

Però di fronte al business non vi fermate…
“Di fronte al business e all’invasione di mafie esterne”.

Quanto si ricavava dal traffico di droga? 
“Molto. Guardi, il traffico di droga oggi è l’unica fonte di reddito – a parte il racket, che io non credo sia molto importante – delle mafie”. 

Se ci fosse stata la legalizzazione, i suoi affari ci sarebbero stati lo stesso o sarebbero stati fermati?
“I miei affari ci sarebbero stati lo stesso, perché io poco prima di collaborare ho fatto una rapina di quattro quintali di lingotti d’oro, quattro quintali e mezzo, in una banca che serviva gli orafi nel Vicentino. Però per le altre organizzazioni la legalizzazione sarebbe la ghigliottina. Mi chiedo come mai ancora non lo abbiano fatto. Beh, un narcotraffico però controllato, non è che uno va a prendersi un chilo! Deve tirar fuori i documenti, codice fiscale e tutto. E poi se uno Stato acquista la cocaina o l’eroina da un altro Stato, con 50 euro può comprarne 2 chili credo, perché non costa niente… e la può vendere anche a 100 euro, 200, tanto per dire, senza porcherie dentro. E io vorrei sapere la stragrande maggioranza degli italiani dove va ad acquistarla: se va a pagare 200-300 euro per un grammo – dipende dalla qualità – o 5 euro. Il prezzo crolla! Crolla il mercato! E quelli le rapine non le sanno fare, non sanno fare neanche i furti! Per cui vorrei vederli che si ammazzano per una… cassa di pomodoro! Ovvio che bisogna fare una cosa che è molto delicata, però visto che sono 50 anni che imperversa in tutto il mondo e in tutta Italia soprattutto – perché l’Italia è uno dei principali Paesi – perché non provano qua?” 

Per cui, per un narcotrafficante, il nemico principale è la legalizzazione?
“Io ne sono certo. Mi metto nei miei panni di una volta eh…”

Quindi lei da narcotrafficante avrebbe combattuto la legalizzazione…
“Oh! Guardi che hanno il terrore della legalizzazione eh! Tutti, non solo io!”

Ma lei sta ragionando sulla possibilità di legalizzare tutte le droghe, sia leggere che pesanti?
“No, io sto ragionando su come distruggere le mafie. A un prezzo che si pagherà ovviamente…”

“Omicidi? Doveva essere punito o uno che ci voleva uccidere o uno che aveva tradito ed era dannoso. Se non era dannoso, veniva allontanato e non ce ne fregava niente, un divorzio totale. Invece la mafia siciliana, la camorra… ammazzano anche per soldi, ammazzano il miglior amico per convenienza”,

È cambiato qualcosa in lei quando ha fatto l’esecuzione o in fondo non ha pesato questo gesto?
“Non mi ha fatto niente perché queste erano le nostre regole”. 

Dopo un omicidio non è mai successo che abbia avuto un tormento?
“No. Solo per la morte di Cristina Pavesi, la studentessa di 22 anni rimasta uccisa durante la rapina al vagone postale del treno Venezia-Milano il 13 dicembre 1990”.

Maniero pronuncia ufficialmente le sue scuse alla famiglia di Cristina, sapendo bene che le scuse non potranno riportarla indietro e che, molto probabilmente, non potranno nemmeno essere accettate. Dopo due evasioni da due diverse carceri di massima sicurezza e latitanze vissute tra lussi di ogni tipo, il capo della Mala del Brenta venne catturato l’ultima volta il 12 novembre del 1994 e sei giorni dopo decise di diventare collaboratore di giustizia.

Le sue rivelazioni hanno portato alla condanna di quasi cinquecento persone e alla fine della Mala del Brenta.  Maniero, con la sua perenne aria di sfida, è un uomo che – come ha descritto il giudice Pavone – ha gettato il patrimonio della sua intelligenza in imprese criminali. Imprese criminali che hanno generato un dolore esponenziale.

Ecco, il dolore: tra tutte le domande che gli ho posto in questa lunga intervista, quella sul dolore è l’unica su cui l’ho sentito vacillare.

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