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Il mistero del manoscritto Voynich: pieno di illustrazioni e scritto in una lingua indecifrabile

Il mistero del manoscritto Voynich:

Se esiste un antico codice minato che sembra scaturito dalla fantasia di Jorge Luis Borges, questo è il manoscritto Voynich. Gremito di illustrazioni arcane e scritto in una lingua misteriosa, ha fatto impazzire centinaia di studiosi, da quando è stato presentato al pubblico, nel 1912, da un commerciante polacco di libri rari, Wilfrid Woynich.

Il libro faceva parte della collezione di un enigmatico personaggio della Roma del Seicento, Athanasius Kircher, studioso dagli interessi vastissimi, che spaziavano dai geroglifici egiziani alla microbiologia.

L’ antiquario ne era venuto in possesso tramite la Compagnia di Gesù: il manoscritto era tra i volumi del Collegio Romano, e provenivano da Villa Mondragone, nei pressi di Frascati. Woynich ne era affascinato, e non se ne separò mai; ma sembrava più interessato alla sua storia, piuttosto che a decifrarne il contenuto.

Dapprima si pensò che il manoscritto provenisse dalla collezione di John Dee, mitico mago al servizio di Elisabetta I, e che fosse opera del filosofo Ruggero Bacone; oppure che fosse frutto del suo amico, abile falsario, Edward Kelley. Ma le ipotesi, seppure affascinanti, si rivelarono prive di fondamento.

Le prime tracce documentate di questo libro di dimensioni modeste, dipinto su pergamena fatta di pelle di capra, 16 cm per 22 di altezza, per un totale di 204 pagine (ora pubblicato in edizione integrale da Bompiani, con tanto di riepilogo delle ricerche sul tema, a cura di Stephen Skinner, Rafal T. Prinke e René Zabdbergen), arrivano da Praga, da una lettera scritta da Johannes Marcus Marci all’ amico Kircher, il 19 agosto del 1665.

Marci era professore di medicina all’ Università Carolina del regno di Boemia e medico personale di ben due imperatori del Sacro romano impero. Non era un ciarlatano: nel 1667 fu riconosciuto membro della Royal Society di Londra, per i suoi meriti scientifici; la rifrazione dei colori l’ aveva scoperta lui, una ventina di anni prima di Isaac Newton.

Nella lettera lo studioso scriveva all’ amico esperto in decrittazione di lingue perdute, nonché fondatore delle moderne egittologia e sinologia, di volergli consegnare il manoscritto, perché questo «non poteva essere letto da nessun altro al mondo»; soltanto Kircher poteva «trovarne le chiavi d’ accesso con la consueta facilità». La lettera (oggi conservata, assieme al manoscritto, presso la biblioteca Beinecke di Yale) non è apocrifa; nell’ immenso corpus di lettere del gesuita, conservato negli archivi della Pontificia Università Gregoriana di Roma, si trovano diverse altre missive inviategli da Marci.

La lettera contiene altri dettagli: il libro sarebbe appartenuto all’ imperatore Rodolfo, «che aveva pagato seicento ducati al messo» che glielo aveva consegnato. In calce al manoscritto si trova anche una firma, che farebbe risalire il volume al medico boemo Jakobus Sinapius. Fatto sta che Voynich non riuscì mai a decifrare il contenuto del libro, che ha fatto impazzire, letteralmente, generazioni di studiosi.

L’ opera è divisa in sezioni: c’ è una parte prettamente erboristica, che sembra illustrare le proprietà di piante come la curcuma, la calendola o l’ origano; molte pagine cosmologiche, contenenti diagrammi astronomici e segni zodiacali; un capitolo farmacologico, con parti di piante e ampolle; e poi la sezione più misteriosa di tutte, che mostra donne nude immerse in complessi reticolati di vasche. Ma il vero rompicapo è il testo, che sembra scritto in un alfabeto e una lingua sconosciuti.

Provarono a decifrarne il significato diversi gruppi di studi, dagli esperti di crittologia dell’ esercito americano agli ultimi ricercatori, riusciti a ipotizzare soltanto il significato di piccole frasi; il compito appare impossibile e alcuni, disperati, hanno parlato di «libro maledetto». Johannes Albus qualche anno fa azzardò di avere riconosciuto la ricetta di un impacco tradizionale per le ferite, ottenuto dal fegato di capra, scritta, insieme, in latino abbreviato e tedesco medievale.

Non sarebbe comunque una contraffazione, poiché la datazione al carbonio prova che la pergamena risale alla prima metà del XV secolo; anche se questo non elimina la possibilità che si tratti di un’ opera posteriore.

Secondo Stehen Skinner, che firma la prefazione del volume, potrebbe trattarsi dell’ opera di un «medico-erborista-astrologo», probabilmente ebreo, vissuto nell’ Italia settentrionale, come provano il castello ghibellino che compare tra le sue pagine e «la totale assenza di iconografia cristiana, fatto insolito per quel periodo storico».

Secoli di studi crittografici, e l’ avvento dell’ intelligenza artificiale, non sono riusciti a dissolvere il mistero di questo manoscritto, che non a caso volle consultare a tutti i costi anche Umberto Eco, durante una sua visita a Yale; di certo il volume non sfigurerebbe nella Biblioteca di Babele immaginata da Borges, dove i volumi «si ripetono nello stesso casuale disordine», fino alla fine dei secoli.

Fonte ‘Il Messaggero’

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