Omicidio Desirèe, le accuse del padre:
Il tormento, di non averla messa in guardia dai cattivi, il dubbio «avremmo dovuto spaventarti, ti abbiamo raccontato storie dal classico lieto fine in cui i buoni sconfiggono i mostri e le streghe».
È il tarlo della famiglia di Desirée Mariottini, che ieri è tornata a Cisterna di Latina, a San Valentino, nel suo quartiere, nella chiesa dove ha fatto la prima comunione e la cresima. «Ti abbiamo coccolato, forse viziato, portato a spasso rimproverato e difeso. Eri figlia, nipotina, sorellina, la più amata. Avremmo dovuto spaventarti per tenerti più vicino a noi per non farti sporcare dal mondo. Si dice che i figli sono del mondo, che bisogna curarsi di loro e dare loro ali e radici, ma siamo sicuri sia davvero così?».
Ali e radici. Sembra facile. Ora sono solo belle frasi che acuiscono l’orrore, i sensi di colpa, il dolore. Mamma Barbara ha occhi vitrei di chi non ha più lacrime, il padre Gianluca tiene stretta una cornice con la foto della figlia e sussurra «sono morto con lei».
«Amore nostro non sei più con noi, il tuo sguardo sfuggente, il tuo sorriso timido ci inseguono. Ci perseguita il dubbio di non aver fatto abbastanza, soprattutto di non averti raccontato storie in cui a volte i cattivi sconfiggono i buoni, soprattutto di non averti detto che i malvagi ci sono eccome».
Ad accogliere la bara bianca coperta dai fiori candidi dei nonni e seguita passo passo dai genitori una folla di famiglie, ragazzi, persone di ogni età. Il feretro della 16enne drogata, violentata e lasciata morire dal branco in un caseggiato di San Lorenzo, entra in chiesa sulle note della canzone È per te di Jovanotti, tra corone e palloncini, l’ atmosfera stordita di chi ha visto altro orrore (la parrocchia è la stessa dove alcuni mesi fa si sono celebrati i funerali di Alessia e Martina Capasso, le sorelline uccise il 28 febbraio dal padre).
Tanta rabbia tra la gente. Fuori è rimasto tutto il tempo uno striscione con lettere dagli stessi caratteri usati dagli ultras: Giustizia per Desirée. E don Livio Fabiani sull’ altare lancerà un appello perché tutti vigilino contro ogni forma di violenza: «Mi permetto di fare un appello a tutti i responsabili della cosa pubblica. Grandi o piccoli, centrali o periferici: che essi siano a vigilare, a controllare e a intervenire contro ogni forma di violenza senza aspettare che questa violenza esploda e che si ripeta ciò per cui oggi stiamo piangendo». Un’ omelia sofferta, serrata nei toni, senza concessioni al pathos, forse per non surriscaldare gli animi.
Alla fine ha lasciato la parola ai familiari, un fil di voce lo zio di Desi, Ermando, «ma tanto parlavo a lei», spiegherà. «Se dovessi sommare – ha detto in lacrime – tutti i momenti delle cattiverie che io ho subito nella vita rispetto a quello che hai subito tu in poche ore, io ne ho avute poche. Hanno dovuto stordirti. Ho sentito che hanno detto: lei è morta, meglio te morta che loro in galera. Diglielo tu che è meglio che si pentano, perché la loro galera se la troveranno tutti i giorni, io credo nella giustizia divina».
Poi il ricordo della famiglia tutta. «Eri alla ricerca della tua identità come ogni adolescente, nonostante le insicurezze volevi dimostrare a noi e al mondo che stavi crescendo, che ce la volevi fare da sola e che volevi scegliere con la tua testa. Siamo convinti che arriverà la giustizia divina se non quella terrena». Alla fine fumogeni e fuochi d’ artificio, le note di Torna a casa dei Maneskin, su uno striscione il verso di un brano di Grignani: «Non c’ è direzione ma profumo di viole c’è, tu cammina nel sole».
Intanto ieri in Questura a Roma sono stati sentiti altri testimoni dalla Mobile. Una barista, poi un uomo, M.D.L., con precedenti per spaccio, tra i sostenitori del ministro Salvini al suo arrivo a San Lorenzo, tra i primi a invocare le ronde. «Mi hanno sentito perché ho raccolto la testimonianza di chi era lì. Non sono un omicida né uno stupratore. E tutti quelli che erano in via dei Lucani quella notte devono pagare perché hanno lasciato morire una ragazzina».
Per Yusif Salia, uno degli appartenenti al branco, è stato convalidato il fermo solo per lo stupro e non per l’ omicidio. Ma la Procura di Roma ha chiesto di nuovo la misura. Spuntano nuovi personaggi che erano nel palazzo diroccato, come Pi un maliano che stava fumando crack e ha visto tutto.
Per Gianluca Zuccheddu «se Desirèe è finita là dentro è colpa delle amiche romane». Gli investigatori ne cercano altre, tra cui un’ ex modella, per capire chi abbia dato per primo psicofarmaci e droga alla sedicenne.
Fonte: ilmessaggero.it
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