Siani, la camorra non ha frenato la svolta:
Saliva a bordo della sua Mehari, dal Vomero, dove abitava, per raggiungere Torre Annunziata, il territorio del quale era corrispondente per conto de Il Mattino. Giancarlo Siani era un giornalista pubblicista, sognava di diventare professionista, per lui il giornalismo non era un semplice lavoro ma una missione, una vocazione, un passione per cui dare anche la vita. Su quella Mehari verde, decapottabile, raggiungeva il comune oplontino che setacciava, scandagliava, perlustrava, per non farsi sfuggire alcunché.
La camorra voleva combatterla sul serio, ne denunciava le infilitrazioni, le reti tentacolari e le nefandezze attraverso il mezzo in cui si riconosceva di più: la scrittura. Faceva riferimento alla redazione periferica di Castellammare di Stabia, quella centrale rappresentava il sogno in cui approdare, magari dopo aver apposto la firma su un contratto con il quale iniziare a progettare un futuro.
Giancarlo, sempre grazie alla sua Mehari, raggiungeva anche Vico Equense, dove abitava la fidanzata, quante volte le avrà raccontato le sue inchieste, confidato i suoi stati d’animo e, perché no, anche le sue inquietudini. Ma è probabile che con lei volesse distrarsi, non pensare al lavoro, alla dura vita di un cronista di strada, esposto a pericoli e minacce. Sapeva che i suoi articoli erano scomodi, che mandavano su tutte le furie gli ambienti criminali, ma non s’è mai tirato indietro, era consapevole di stare dalla parte giusta, quella della verità, e non poteva indietreggiare, lo doveva alla sua coscienza professionale e ai suoi lettori.
Lui e la Mehari erano inseparabili, Giancarlo era solo una firma, non cercava i riflettori, mentre la macchina attirava l’attenzione in tutta la sua originalità e unicità, con quel verde sgargiante. La Mehari resta una fedele custode della vita professionale di Giancarlo, grazie ad essa poteva vivere la porzione di territorio che gli era stata assegnata dal quotidiano, recarsi in redazione a scrivere quelle righe scottanti, raggiungere la fidanzata, sorriderle, baciarla, stringerle la mano, accarezzarle i capelli mossi dal vento della costiera.
Anche uno scrittore autorevole come Lorenzo Marone, nel suo libro “Un ragazzo normale”, ha ideato il personaggio di Mimì, un adolescente di famiglia umile, figlio del custode del palazzo in cui abita questo giovane giornalista che scrive articoli dai contenuti forti. Mimì, a dispetto della sua tenera età, ama la lettura e resta affascinato da questo ragazzo che scrive articoli, che gira con una macchina così particolare, che non ha orari fissi, che è sempre così gentile nei modi. Vuole essergli amico, lo considera un supereroe, glielo dice ma lui risponde di essere solo un ragazzo normale, che cerca di fare bene il suo lavoro.
Era il 23 settembre 1985 quando fu ammazzato sotto casa sua, aveva 26 anni ma già le idee ben chiare: non si sarebbe mai fatto intimidire, non avrebbe mai rinunciato alla libertà a costo di pagare un prezzo altissimo. La camorra agisce così, toglie la vita a chi prova a rendere il mondo un posto più bello, più sano e più pulito dove non ci siano ingiustizie, violenze e prevaricazioni. Giancarlo utilizzava la penna per raccontare la verità, perché i suoi lettori fossero correttamente informati.
Al di là del romanzo di Marone, lui pensava davvero di essere un ragazzo normale, con il sogno di uscire dal precariato e affermarsi come un giornalista professionista. Che Giancarlo Siani sia per tutti i cronisti un esempio da seguire, un faro, un punto di riferimento, lui che ha avuto solo la colpa di fare bene il suo lavoro. Lui che con la sua Mehari ne ha fatta di strada, era come una fedele compagna di viaggio, ora, col suo silenzio, serba fin nei suoi angoli i segni e i segreti di tante avventure.
Maurizio Longhi per BreveNews.Com
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