Roma, le intercettazioni Baldini-Casamonica:
«Simone io sono… non alla frutta, di più. Cioè nel senso io non so cosa fare, credimi. Io Simone non posso più campare, sono assediato da venti persone, a tutti ho detto di aspettare un po’, nessuno aspetta». Marco Baldini, conduttore radiofonico, già volto noto anche della tv, è al telefono con Consiglio Casamonica, detto Simone, conosciuto in una sala giochi.
In ballo, secondo quanto ricostruito nel corso dell’ indagine sul clan, fatta anche di intercettazioni, che ha portato ad una raffica di arresti, c’è un prestito di 10mila euro ricevuto dallo showman tra il 2011 e il 2012. Debito che, sommati gli interessi, ha raggiunto negli anni la cifra di 600mila euro. Una cifra spalmata sul periodo 2011-2017. Un tasso di interesse di almeno il mille per cento su base annua, calcolato in linea teorica.
Aggiunge Baldini – che in passato ha pubblicamente parlato del suo rapporto con il gioco d’azzardo e di debiti -, in quella stessa conversazione: «Non c’ho più nessuno e mi vengono tutti addosso Simone, tutti una violenza, impossibile e immaginabile». Consiglio Casamonica, si sottolinea negli atti, si presenta in genere come intermediario, esposto a presunte pressioni di altri, che lo avrebbero rimproverato di fronte ad una mancata restituzione del prestito. Un tono telefonico di solito soft che si indurisce però strada facendo, di fronte ai ritardi nei pagamenti, rispetto ai ratei usurari scaduti.
Una sorta di gioco psicologico che, si sottolinea, spinge il debitore a non mettere in difficoltà l’intermediario e ad adoperarsi, invece, per risolvere la restituzione dei soldi. Ci sono vittime con nomi illustri, nelle azioni del clan ricostruite nelle carte dell’ indagine. Baldini, come anche quello di uno dei figli di Franco Zeffirelli. Si parla di un prestito di 20mila euro, in questo caso, su cui è stato applicato un interesse del 30 per cento su base annua, il 2,5 per cento mensile per dieci mesi (secondo una durata calcolata ipoteticamente rispetto alle dichiarazioni fatte).
IL SISTEMA
Il modo di operare, da parte del clan, che si trova nei riscontri dei carabinieri e negli atti dell’autorità giudiziaria, ha un unico denominatore: un comune sentire, nella collettività e nelle vittime, caratterizzato da una sorta di soggezione di fronte alla forza intimidatrice del gruppo.
Sostiene un test che il clan incute timore, che nessuno denuncia mai i suoi componenti, al punto da non esserci bisogno alcuno di usare la violenza, nelle azioni: basta mettere avanti il nome della famiglia. «Un gruppo molto forte anche per il marchio di origine particolarmente significativo sul territorio romano», ha proprio sottolineato ieri il procuratore aggiunto della Dda di Roma, Michele Prestipino. Di fatto, si ricostruisce nell’indagine, i Casamonica non chiedono favori ad amici, ma impongono doveri alle vittime».
Fonte: Alessandra Camilletti per “il Messaggero”
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