Premiato con il Nastro d’Argento come Miglior attore di commedia, a Taormina, Antonio Albanese ha rilasciato un’intervista ai colleghi di Leggo.it:
«Sessanta anni fa mio padre ha vissuto un anno in un seminterrato, perché ai meridionali non si affittava. Se cresci come figlio dell’immigrazione hai una sensibilità diversa».
Che impressione le fanno le notizie sui migranti di questi giorni?
«Io quel dolore e quella angoscia li conosco. I movimenti migratori che stiamo vivendo ora sono epocali e nessuno ha una soluzione, ma alcune soluzioni troppo immediate mi spaventano. Io sono per i ponti, non per i muri. In questi anni mi sono sentito orgoglioso di essere italiano perché abbiamo salvato delle persone, a differenza di altri paesi che si dovrebbero vergognare».
Il suo Contromano parte proponendo di riportare i migranti in Africa, ma poi va in tutt’altra direzione
«Il mio desiderio era proprio quello di lavorare su un tono diverso: pacato, dolce, buonista… che per me non è affatto una brutta parola! Volevo proporre al pubblico una forma di dialogo diversa».
La rabbia è un sentimento comune ai protagonisti dei suoi ultimi due film
«Siamo a un quarto d’ora da un esaurimento nervoso, è evidente, ed è un problema presente in tutti i paesi. La gente ha gridato più volte e poi si è rotta le scatole, ma alimentare le diffidenze è un brutto gioco, pericolosissimo».
A ottobre su RaiTre vedremo I topi, suo nuovo progetto tv
«Andrà in onda dal 6 in tre puntate da un’ora. Ho avuto l’idea anni fa osservando in tv la cattura di un latitante che viveva in un seminterrato. Era un uomo con un potere economico enorme e viveva da tre anni in un buco mangiando pasta col tonno, perché non si fidava nemmeno dei propri familiari. L’ho visto venir fuori dall’armadio con venti persone che gli puntavano il mitra addosso e quando è uscito ha quasi ringraziato! L’intenzione è far capire ai giovani che certa illegalità è soprattutto ridicola, stupida. Ne I topi c’è un po’ tutto il mio mondo, ne sono felice».
E per il cinema a cosa sta lavorando?
«A L’uomo che prega, storia di un uomo che vuole pregare ma non trova la posizione giusta. È un modo per parlare della grande confusione di questi tempi sulle religioni».
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