Il maresciallo dei carabinieri Riccardo Casamassima racconta del pestaggio avvenuto in caserma, non in carcere
«È successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato. Me lo disse una mattina dell’ottobre del 2009, senza fare il nome degli autori, un preoccupatissimo maresciallo Roberto Mandolini (da poco alla guida della stazione Appia, ndr), portandosi la mano sulla fronte e precipitandosi a parlare con il comandante Enrico Mastronardi della stazione di Tor Vergata».
Lo dice il maresciallo dei carabinieri Riccardo Casamassima in aula, davanti alla prima corte d’assise di Roma, durante il processo ai cinque carabinieri, tre dei quali accusati della morte di Stefano Cucchi.
il carabiniere con le sue dichiarazioni ha consentito alla Procura di approfondire l’indagine bis sulla morte di Stefano Cucchi (il geometra romano deceduto al Pertini il 22 ottobre del 2009 sei giorni dopo essere stato arrestato per droga) e di portare poi sul banco degli imputati cinque militari dell’Arma, per reati che vanno dall’omicidio preteritenzionale al falso, alla calunnia.
In servizio, all’epoca dei fatti, alla stazione di Tor Vergata e attualmente all’ottavo reggimento, Casamassima ha ribadito quanto già dichiarato al pm Giovanni Musarò e al Procuratore Giuseppe Pignatone nell’estate del 2015. «Al colloquio era presente Maria Rosati, anche lei all’Arma, poi diventata la mia compagna: mi rivelò che Mandolini e Mastronardi stavano cercando di scaricare le responsabilità dei carabinieri sulla polizia penitenziaria. Lei stava lì – ha precisato oggi Casamassima – perché fungeva da autista del comandante. Lei capì il nome Cucchi ma poichè la vicenda non era ancora nota, deduco che quando ci fu questo colloquio il ragazzo fosse ancora vivo».
La decisione di raccontare questo episodio arrivò qualche anno dopo la morte di Cucchi, nel 2015, “perché pensavo che Mandolini volesse fare lui stesso qualcosa. Avevo paura di ritorsioni – ha aggiunto Casamassima – dopo la mia testimonianza hanno cominciato a fare pressioni pesanti nei miei confronti. Ho avuto anche problemi perché ho rilasciato interviste non autorizzate; si stava cercando di screditarmi, e io dovevo far capire che tutto quello che dicevano non era vero”.
Casamassina ha quindi ricordato di aver incrociato Mandolini una mattina dell’ottobre del 2016: «Ci siamo guardati male, io gli dissi solo di andare a parlare con il pm e a dire quello che sapeva. Gli dissi anche che la Procura stava andando avanti e che aveva in mano una serie di elementi importanti per fare luce su quanto accaduto. Lui mi rispose dicendomi che il pm ce l’aveva a morte con lui».
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