La storia di una giornalista norvegese in una scuola di Scampia per la nostra rubrica Finestra sulla scuola
Ci sono storie che iniziano per caso. Questa è iniziata una mattina a Scampia, durante la celebrazione della giornata in memoria delle vittime delle mafie. Presenti quasi tutti i rappresentanti delle autorità e delle associazioni del territorio, scolaresche, docenti, fotografi. E proprio tra questi ultimi, uno in particolare colpisce la mia attenzione. È una donna. Ha uno zaino in spalla, una macchina fotografica al collo e un accento straniero. Si avvicina ai miei alunni, in realtà non so perché tra i tanti studenti abbia scelto i miei, chiede alle mamme che li hanno accompagnati, di poter scattare delle foto.
Credo nelle alchimie e forse sorriderle è stato sufficiente, per loro. Il suo nome è Charlotte Nagell, è una giornalista freelance norvegese, sposata con un italiano e vive a Bologna. Mi spiega, in un italiano quasi perfetto, del motivo per cui è qui. Ha visto, come tanti, alcune puntate della fiction Gomorra ed è venuta a Scampia, per capire quanto la finzione scenica sia vicina alla realtà. Mi racconta di aver incontrato solo adulti e di voler ascoltare le storie dei bambini del quartiere, quindi la invito a venire a scuola a parlare con loro.
Quello che ne è scaturito, non lo dimenticherò mai. L’ho accolta facendole trovare esposta un carta geografica dell’Europa. Lei ha indicato il luogo in cui è nata, puntando il dito su un piccolo paesino vicino Oslo, ha raccontato della casa dei suoi genitori, circondata dalla neve, mostrando alcune foto. I bambini sono curiosi per natura e le domande sono partite a raffica. La loro prima curiosità ovviamente, riguarda l’organizzazione della scuola in Norvegia.
Quello che più ha colpito i miei alunni è il fatto che in Novergia i bambini a scuola indossano abiti “normali”, non grembiule o uniforme. La scuola inizia dal primo anno d’età perchè i genitori lavorano tutti. Disoccupazione è una parola sconosciuta lì, in quel paese tanto lontano. La scuola primaria inizia a sei anni e dura sette anni, per la qual cosa sono considerati fortunati. I bambini norvegesi possono restare con la loro maestra fino ai tredici anni, loro testuali parole, per poi proseguire fino ai 16 per completare il ciclo obbligatorio dell’istruzione.
Le chiedono del clima, di come sia vivere sei mesi al buio e sei con la luce, del suo lavoro in giro per il mondo. Sono affamati di sapere. La loro capacità di ascolto, di porre domande e fare considerazioni personali ed originali è sorprendente anche per me. Charlotte ne è estasiata, era venuta per osservare Gomorra ma ha trovato ben altro. Non so cosa abbia pensato, prima di venire qui, ma è di sicuro affascinata dal modo di parlarle così apertamente, senza filtri né remore, raccontandosi. “Le giornate trascorrono tra la scuola e la parrocchia, per la maggior parte di loro”, racconta.
Si scende giù nei cortili con la bici o con il pallone, come in qualunque altro posto. Fanno piccole commissioni per le mamme, vanno a messa la domenica, al campetto a giocare a calcio, a mangiare la pizza il sabato sera con i compagni di classe o con gli amici. La “villetta” così come loro chiamano un piccolo spazio adiacente la chiesa, è il loro luogo di ritrovo. Una bambina invece piange, le dice che vorrebbe essere libera di girare il mondo, ha la passione per la scherma e un sogno nel cassetto, che crede di non poter realizzare.
Spesso gli scambi culturali portano ad un confronto più profondo, anche se questi avvengono tra una bambina ed un adulto appena conosciuto. Tutti vogliono parlare e dalle parole dei bambini emerge che non esiste in loro la percezione del pericolo. Scampia non è un luogo da cui scappare. Si sentono al sicuro, nonostante quello che la cronaca o la tv, mostrano. Sono coscienti dei problemi della città e del quartiere, e nei loro occhi si vede la voglia di cambiarli.
La giornata della memoria insegna proprio questo. Quello che viene definito momento sbagliato o posto sbagliato può essere anche ora, per chiunque. Le loro storie sono piene di aneddoti, spesso divertenti, ma i loro visi sorridenti ogni tanto diventano seri, quando si trattano temi scottanti. Un’alunna deduce che sia “venuta qui per raccontare sui giornali la vita a Napoli”. Finchè, un’altra con aria sicura afferma: “Beh, io lo so che qualcosa di brutto potrebbe succedere, che ci sono persone che non rispettano la legge. Ma non possiamo certo restare chiusi in casa, altrimenti l’avrebbero vinta loro. Mica possono condizionare la nostra vita!”.
Si può essere maturi e dare una lezione di vita anche a dieci anni, crescere ed essere responsabili delle proprie scelte, del proprio futuro, camminare a testa alta, senza paura, a Scampia.
Silvia Selo
Aggiungi Commento