India, divorzio ‘istantaneo’: la rivolta delle mogli musulmane arriva alla Corte suprema
La Corte Suprema di Delhi ha finalmente deciso di accogliere le richieste delle associazioni di donne musulmane e di pronunciarsi sul “divorzio immediato” indiano. Entro un mese, a quanto scrive l’agenzia di stampa Ani, i giudici stabiliranno se la pratica del ‘triplo talaq’ sia legittima o se invece contrasti con la Costituzione indiana questa possibilità, limitata solo ai mariti verso le mogli (e non viceversa), di ottenere un divorzio del tutto legale semplicemente pronunciando tale parola di fronte alla consorte per tre volte consecutive.
Negli ultimi mesi è cresciuto il numero delle donne che rifiutano di accettare il divorzio in questi termini, sia nella versione tradizionale che in quella adattata alla rivoluzione nelle tecnologie: il triplo talaq oggiviene infatti ritenuto valido anche se inviato per posta, tramite le app di messaggistica istantanea o addirittura per mezzo di un annuncio su un giornale.
Davanti al moltiplicarsi delle denunce e delle proteste, la Corte Suprema ha deciso di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del divorzio istantaneo per mettere la parola fine a una controversia di cui sono già state scritte alcune puntate: nel dicembre 2016, l’Alta Corte di Allahabad, capitale dello Stato indiano di Uttar Pradesh, aveva condannato il divorzio istantaneo, in quanto irrispettoso dei “diritti delle donne musulmane”. Anche il governo di Delhi, a gennaio, si era opposto al triplo talaq perché “contrario al diritto di genere” ed alla parità tra uomo e donna sancita dalla Costituzione. In queste occasioni, aveva fatto ulteriormente discutere il punto di vista dell’Indian Muslim Personal Law Board, l’istituto musulmano indiano per la difesa delle legge personale o religiosa: “Meglio divorziare da una donna che ucciderla”. Una provocazione, ma anche un richiamo a fatti di cui le cronache indiane sono piene.
La prassi del divorzio immediato scaturisce da un’interpretazione sunnita della legge islamica, non accettata da tutti i Paesi musulmani. L’India però – dove i musulmani rappresentano circa il 13% della popolazione – è uno degli Stati in cui essa è in vigore: ne consegue che un marito indiano non può divorziare in tribunale, come di consuetudine in almeno altre venti Nazioni musulmane. E questo potrebbe essere un limite anche in caso di riconosciuta illegittimità costituzionale della pratica, dal momento che in tal caso bisognerebbe modificare le leggi sul divorzio e la strada per abolire la discriminazione potrebbe essere ancora lunga.
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